Era da un po’ di tempo che non leggevo Eshkol Nevo - non ho letto gli ultimi libri pubblicati a esclusione di Tre piani, che miSenza paracadute
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Era da un po’ di tempo che non leggevo Eshkol Nevo - non ho letto gli ultimi libri pubblicati a esclusione di Tre piani, che mi era piaciuto pur lasciandomi, al tempo stesso, un po’ fredda - e non pensavo che dei racconti avrebbero potuto coinvolgermi ed emozionarmi così come invece è stato leggerli. Non tutti sono compiuti, alcuni li ho trovati spiazzanti - del resto, come scrive lo stesso Nevo “devo ammettere che con i racconti faccio fatica. Non hai ancora fatto in tempo a entrare nella storia, a immergerti, che bum, ti piomba addosso il finale, di solito spaventosamente aperto e ti sbatte fuori, una pagina bianca su cui precipiti senza paracadute” - ma nel complesso la qualità è altissima e il filo che li unisce, quei legami che altro non sono che le relazioni che ci uniscono gli uni agli altri, padri e madri, figli e madri e padri, mariti e mogli, amanti, amici, fratelli e sorelle, riesce a commuovere, stupire, stordire, colpire, creare empatia, immedesimazione, appartenenza, riconoscere se stessi in uno almeno di essi, qualcuno che abbiamo conosciuto o il riflesso di altri che hanno attraversato la nostra vita.
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Sono racconti israeliani - Gerusalemme e Tel Aviv, il Carmelo e il deserto, i kibbutz e la Shiva permeano storie e pagine - di un autore israeliano affatto simpatizzante del governo attuale ma del tutto espressione della cultura del suo paese, scritti prima del 7 ottobre 2023, in cui la questione palestinese si affaccia, intrude a volte in maniera inattesa, graffia alle porte di quello che appare come un mondo chiuso e asfittico, ricordando che alcuni passi sono già stati percorsi in precedenza, alcune case già abitate, alcune vite già vissute in quegli stessi luoghi lasciando impronte calcificate nella terra, reperti archeologici di un’esistenza precedente da alcuni mai dimenticata, di un diritto al dolore da altri mai riconosciuto.
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Ce ne sono di bellissimi, ma la seconda parte del libro è in crescendo e lo sono, in maniera sorprendente, uno dopo l’altro, quasi da togliere il fiato.
[image] Tutte le opere, inclusa quella di copertina, sono di Gideon Rubin...more
Chalandon scrive un romanzo à la Almodovar, che stupisce, stranisce, ma colpisce anche questa volta. Come ha scritto un’altra leDonne sull’orlo
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Chalandon scrive un romanzo à la Almodovar, che stupisce, stranisce, ma colpisce anche questa volta. Come ha scritto un’altra lettrice, si pensa di leggere una storia di malattia e maternità e si finisce per trovare il coraggio, l’amicizia e la forza di andare avanti a dispetto di tutto e con tutte le forze: anche a costo di decisioni estreme e imprevedibili. Nel mezzo, oltre alla scrittura sempre avvincente dell’autore, c’è lo spazio per la pietas umana, la solidarietà, la voglia di vivere, per quella gioia feroce che consente, a dispetto di tutto, di restare aggrappati alla vita. Meno politico di altri suoi romanzi (ma la politica si affaccia spesso anche qui), di tutti gli altri suoi romanzi, questo romanzo interamente al femminile, ma solo se si pensa che la politica sia solo quella dei governi e delle guerre: esistono altri governi e altre guerre, come quelle che si combattono nelle case, sul lavoro, ogni giorno per vivere, e non per sopravvivere.
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Della protagonista, che si chiama Jeanne ed è una timida libraia parigina (Chalandon attraverso il suo personaggio ci regala anche dei delicati fugaci omaggi letterari), mi piace molto la descrizione della quarta di copertina dell'edizione francese: “Jeanne est une femme formidable. Tout le monde l’aime, Jeanne. Libraire, on l’apprécie parce qu’elle écoute et parle peu. Elle a peur de déranger la vie. Pudique, transparente, elle fait du bien aux autres sans rien exiger d’eux.” Ma è anche Jeanne come Jeanne d’Arc, e chissà che la scelta del nome non sia anche un omaggio a una donna che per la Francia è simbolo di coraggio e di resistenza.
Un Delisle ancora acerbo nel suo primo reportage a fumetti - tre mesi in Cina per lavoro sul finire degli anni Novanta - lascia però intuire l’ironia,Un Delisle ancora acerbo nel suo primo reportage a fumetti - tre mesi in Cina per lavoro sul finire degli anni Novanta - lascia però intuire l’ironia, l’arguzia e la capacità di osservazione del Delisle che verrà....more
Quattro, quattro e mezza: uno Yates molto diverso dagli altri per alcuni aspetti, ma molto Yates per tanti altri. Lo definirei uno Yates della maturitQuattro, quattro e mezza: uno Yates molto diverso dagli altri per alcuni aspetti, ma molto Yates per tanti altri. Lo definirei uno Yates della maturità, con tutti i pregi che questa definizione comporta....more
Festeggio il Premio Nobel leggendo gli ultimi due titoli che mi mancavano, felice perché so che ne sta per arrivare un altro.
“Le rimproveravo di esserFesteggio il Premio Nobel leggendo gli ultimi due titoli che mi mancavano, felice perché so che ne sta per arrivare un altro.
“Le rimproveravo di essere ciò che io, in procinto di emigrare in un ambiente diverso, cercavo di non sembrare più.”
“In certi momenti aveva in sua figlia, di fronte a lei, un nemico di classe.”
Il rapporto di Annie Ernaux con la madre, per come ce lo racconta lei stessa, è segnato da una profonda frattura sociale e generazionale: la madre è di famiglia operaia nata e vissuta in una piccola cittadina di provincia, mentre la figlia sarà non solo “quella che avrà studiato” e che metterà fra loro la distanza della lingua e della cultura, ma anche, a sua volta, un prodotto del Sessantotto, che amplificherà tutte le distanze che i figli da sempre, in maniera del tutto naturale, mettono fra loro e i genitori che per forza di cose sono nati e vissuti in un’epoca precedente. Resta in ogni caso, anche quando Ernaux stessa (citando ne Il posto Jean Genet- “Scrivere è l’ultima risorsa quando abbiamo tradito” - ma anche come si evince dalle due citazioni che ho riportato qui sopra) ammetta di sentirsi rispetto ai genitori colei che in qualche senso li ha traditi, anche laddove non rinnegherà mai il proprio percorso sociale e culturale, l’insofferenza per la tenacia con la quale sono sempre rimasti legati ai riti e alle abitudini dettate dalle umili origini, la tenerezza per una madre e un padre così lontani da lei, il tentativo di conoscere per conciliare le proprie esistenze, le proprie differenze, le mancanze che li hanno allontanati, la conoscibilità delle proprie origini....more
Mi sono addentrata in un territorio sconosciuto, ho percorso strade buie che non avevo mai frequentato prima e mi sonTotal Eclipse of the Heart
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Mi sono addentrata in un territorio sconosciuto, ho percorso strade buie che non avevo mai frequentato prima e mi sono trovata immersa in un mondo in cui tutto mi era estraneo, dove gli occhi potevano essere cuciti con il filo, passeri dai mille colori erano appoggiati sulle teste delle persone come cappelli e tunnel si aprivano all’improvviso risucchiando dentro bambini e cani bussola con quattro code. Ho faticato, lo ammetto, anche a riconoscere la Tiffany McDaniel che tanto amo, come se quella mano suddivisa in cinque parti che descrive - «Allora presi la vanga di mio padre e me ne andai in giro per il mondo a dissotterrare gli scheletri degli scrittori. Scelsi cinque scrittori per prendere da loro cinque ossa in particolare. L’indice di Shakespeare, così avrei sempre avuto un po’ di arguzia. Il pollice di Poe, perché volevo imparare come si tiene un badile per seppellire i miei cadaveri. L’anulare di Mary Shelley, perché sposò divinamente le sue parole alla memoria. Il mignolo di Emily Dickinson per un briciolo di poesia, e il medio di Shirley Jackson per avere la giusta dose di veleno da aggiungere ai miei castelli e alle mie tazze.» - fosse la sua e al tempo stesso non lo fosse, come se avesse afferrato la mia e mi avesse trascinata dentro a un sogno o, meglio ancora, a un incubo. Oppure nel sottosopra di noi stessi, dove albergano le paure, in un vortice dove eco di Peter Pan incontrano suggestioni di Alice nel Paese delle Meraviglie, dove il buio avanza e inghiotte ogni cosa, dove tutti gli errori di un mondo che non rispetta più il mondo stesso continua ad avanzare senza risparmiare più nulla e nessuno.
Mi ha spiazzato, Tiffany, e davvero non so cosa dire, perché se è vero che non me lo aspettavo e che ho faticato a staccarmi dalla McDaniel del mio cuore, è altrettanto vero che mi piacerebbe telefonare a Tim Burton per dirgli: "Ehi, ora che l'ho letto voglio vederlo, presto che è tardi!
«Dalla costa del Cile, il buio s’infila nel Pacifico, raggiunge l’isola di Pasqua e avvolge i Moai, le enormi statue di roccia, poi continua verso l’Uruguay e la sua capitale Montevideo, dove la folla radunata balla al ritmo delle percussioni di un gruppo di candombe. Lì si accorgono presto del buio. Molti si mettono a correre. Confusi, si agitano e travolgono quelli con cui, fino a pochi secondi prima, stavano ballando gioiosamente. Altri invece non si muovono affatto. Restano immobili, troppo spaventati per azzardare anche solo un passo. Ma non importa se corri o se resti immobile. Questo mostro inghiotte chiunque, senza distinzione.»
Romanzo che sfugge alle definizioni, ma che ne racchiude tante - gotico, onirico, psichedelico, horror, catastrofico, distopico, ambientalista, nonostante tutto (o forse proprio per questo tutto) poetico - è la storia (anche) di Laken Cottle, che in un susseguirsi incalzante di eventi e avventure, cerca di ritrovare la strada di casa....more
Nel tempo ho maturato la decisione che i romanzi di Sorj Chalandon per me sono tutti cinque stelle a prescindere: per l'impegno sociale e civile, per Nel tempo ho maturato la decisione che i romanzi di Sorj Chalandon per me sono tutti cinque stelle a prescindere: per l'impegno sociale e civile, per la rabbia mai spenta, per la passione con la quale abbraccia i temi che nella sua carriera da reporter di guerra ha deciso di fare suoi e di non abbandonare mai, per la splendida persona che è....more