The Chant, la recensione
Il vero orrore si cela nella nostra mente.
Traumi. Chi non ne ha subiti nella propria vita? Alcuni vengono riassorbiti, altri ci perseguitano per anni, altri ancora condizionano le nostre vite finché non decidiamo di affrontarli a viso aperto. Jess ha provato in tutti i modi ad esorcizzare il demone interiore ma nulla ha funzionato, l'ultima carta da giocare gliela fornisce la sua amica Kim, che condivide con lei il medesimo dolore.
Lei sembra aver trovato la pace grazie a Tyler, una persona molto carismatica che se ne va in giro a decantare il potere della scienza prismatica. In molti parlano di lui come di un inquietante santone e chiamano “setta” la sua comunità stabilitasi nell'idilliaca Glory Island.
Jess viene accolta con calore e affetto dai membri della comunità, i quali gli decantano a lungo i benefici che hanno tratto dalla loro permanenza sull'isola e dalle pratiche ideate e portate avanti da Tyler. Ne sarà lei stessa testimone la sera stessa, quando parteciperà al suo primo canto rituale.
Purtroppo, la giovane non sembra essere baciata dalla fortuna, visto che proprio la sua amica Kim “rompe il cerchio” del rituale dando il via ad una serie di eventi dai risvolti devastanti. In pochissime ore la collettività che doveva mettere ordine nella sua mente, nel suo cuore e nel suo spirito diventa invece responsabile di un'altra caduta nell'abisso.
Non c'è via d'uscita, non si può fuggire dall'isola. L'unico modo che Jess ha per capire cosa stia succedendo è sfruttare il potere dei prismi che ogni membro della comunità porta appesi al collo per eliminare le presenze oscure che stanno prendendo velocemente possesso di Glory Island. Per riuscirci dovrà fare appello alle sue forze interiori e a risorse misteriose di cui fino a 24 ore prima non sospettava neanche l'esistenza.
Se vi sembra di riconoscere i tratti distintivi dell'incipit narrativo di The Chant, non vi sbagliate. Soprattutto al cinema una trama di questo tipo si è vista spesso, ne sono due esempi i suggestivi “La Cura del Benessere” di Gore Verbinsky e “The Lighthouse” (Robert Eggers – 2019). Anche nei videogiochi i titoli horror a sfondo psicologico non mancano e spesso sono andati ad incrociare le strade con l'immaginario del maestro Lovecraft. Anche in questo caso lo zampino di H. P. si percepisce e va dato atto al team di sviluppo di essere riuscito con pochi mezzi a creare uno stato di tensione sin dai primi minuti di gioco.
Il fatto che Jess non sia un super-personaggio ma una persona normalissima, anzi addirittura piagata da ferite psicologiche non indifferenti, ha permesso a Brass Token di improntare i colpi ad effetto di The Chant sul coinvolgimento di corpo, mente e spirito. Sono questi i tre fattori che dovrete tenere sotto controllo se vorrete sperare di vedere i titoli di coda. Ciò che ci si parerà davanti attaccherà fisicamente il corpo ma minerà anche progressivamente la ragione, indebolendo sempre di più le reazioni della protagonista.
Vi capiterà ad esempio di assistere ad eventi improvvisi che provocheranno attacchi di panico, ai quali dovrete reagire prontamente. Dovrete anche imparare a sfruttare al meglio ciò che la natura vi offrirà, utilizzando le piante che spontaneamente crescono sull'isola per nutrire mente e corpo. Anche la meditazione non va sottovalutata e in questo Jess dimostra fin da subito di avere un talento naturale.
Ciò che si opporrà alla vostra corsa verso la verità e la salvezza, tuttavia non ha solo una natura spirituale perché su Glory Island si aggirano mostruosità che a quanto pare i fondatori del Prismic Science Spiritual Retreat stavano studiando da tempo. Non avrete armi per contrastarli, non armi canoniche almeno. Dovrete costruire strumenti di offesa improvvisati come bussolotti di olio prismatico, sale e fruste fatte di arbusti di salvia... perché a quanto pare questi “condimenti” sono fortemente nocivi per le presenze che infestano l'isola.
Con il procedere delle sue sventure verrà in possesso anche di speciali cristalli che le doneranno abilità spirituali. Alcuni le permetteranno di rallentare i nemici, altri di respingerli o di confonderli per un breve periodo di tempo, altri ancora di attaccarli direttamente per indebolirne l'aura negativa.
Non solo, in base al loro colore, tali cristalli apriranno l'accesso a zone dell'isola precedentemente precluse, che celano ulteriori misteri e ovviamente pericoli. Le risorse, tuttavia, sono abbastanza scarse sull'isola e molti passaggi sono bloccati. In perfetto stile survival horror old-gen, dovrete recuperare speciali chiavi, trovare oggetti da trasformare in potenziali armi e recuperare documenti che vi permettano di capire cosa sta succedendo e soprattutto come uscirne.
L'incedere del gioco è abbastanza guidato. Non esistono strade alternative per raggiungere lo stesso posto e non potrete inventarvi chissà cosa per risolvere un enigma o eliminare un nemico. In questo e molti altri sensi The Chant è un survival horror che strizza un occhio e mezzo ai più illustri esponenti del genere. I fan più esperti e navigati non potranno fare a meno di pensare che alcuni elementi di gameplay avrebbero potuto essere sfruttati molto meglio.
Le visioni, ad esempio, potevano essere rese più originali e interattive se Brass Token si fosse ricordato di quel capolavoro che porta il nome di Eternal Darkness. All'inizio del gioco inoltre viene specificato che le risposte ai dialoghi influenzano l'esperienza ottenuta nei tre settori principali (Mente, Corpo e Spirito) ma purtroppo tale meccanica viene diluita parecchio con il passare delle ore.
Le potenzialità introdotte da un costrutto narrativo così ben architettato non sono state sfruttate al 100% ma nonostante questo dobbiamo ammettere che The Chant è stato capace di generare in noi un certo livello di disagio e tensione, e soprattutto di essere riuscito a mantenere alta la nostra attenzione fino alla fine.
Pur essendo un gioco sviluppato unicamente per PC e console new-gen, The Chant non sfrutta in pieno le caratteristiche peculiari delle specifiche piattaforme. Lo abbiamo giocato su PlayStation 5 e a parte dei caricamenti estremamente rapidi e un audio spaziale di discreto livello, non abbiamo potuto apprezzare le meraviglie dei feedback tattici a cui la console Sony ci ha ormai abituati.
Anche esteticamente non siamo sui migliori livelli possibili. Sono soprattutto i modelli poligonali a non brillare e anche per quanto riguarda le animazioni siamo su livelli da old-gen. In questo caso i 30 fps non si fanno sentire troppo visto che ritmo e velocità dell'azione non sono mai così alti da richiedere una fluidità perfetta. Buona invece l'atmosfera generale, intrisa di “malessere” dal primo all'ultimo minuto e resa ancora più angosciante da una colonna sonora minimalista ma quasi ipnotica.
The Chant è il gioco che non ti aspetti, quello che non vedi arrivare ma che una volta preso in mano difficilmente ti permette di mollarlo. Pur non essendo lo stato dell'arte a livello tecnico e avendo un potenziale non pienamente espresso, è comunque un survival horror pieno di atmosfera e con alcune trovate non male.
Purtroppo, ha anche la sfortuna di uscire in un periodo in cui molti altri titoli di rilievo urlano a squarciagola: COMPRAMI! Quando queste voci si saranno placate, voi cercatelo e lui sarà ancora lì ad aspettarvi, pronto a farvi venire qualche brivido e a instillare nella vostra testa una domanda: cosa sarei disposto a fare per dimenticare?