Istoria delle guerre gottiche/Libro terzo/Capo XV
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1838)
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CAPO XV.
Valentino e Foca molestano gli assediatori di Roma guardandone Bessa le mura; caduti in agguati giuntanvi la vita. — Navi cariche di grano mandate alla città dal pontefice Vigilio cadono in potere dei nemici. — Totila ordina che sieno mozzate le mani al vescovo Valentino falsamente incolpato di menzogna.
I. Intrattanto che l’imperatore attendeva alle prefate cose Belisario mandò Valentino e Foca, sua lancia valentissima nell’arte guerresca, con truppe al romano porto affinchè soccorressero al castello Portense ed al presidio rinchiusovi, e ad ogni modo travagliassero a furia di scorribande gli accampamenti nemici. Costoro adunque non sì tosto pervenuti all’assegnato luogo spediscono occultamente a Roma avvertendo Bessa che ove d’improvviso dessero l’assalto alle gottiche trincee, dovesse egli pure co’ più animosi guerrieri delle sue truppe farsi al cominciar della mischia loro aiutatore, onde apportare insieme gravissimo danno ai barbari; la quale proposta è uopo dire non garbeggiasse a quel duce, quantunque forte di tre mila armati, conciossiachè investito di poi alla sprovvista da Valentino e Foca alla testa di cinquecento militi il campo nemico, e fattevi parecchie uccisioni, vedendo che nessuno movea dalla città, dopo essere pervenuto alle orecchie del presidio lo strepito della pugna, e ritraggonsi pronti, sani e salvi al porto. Giuntivi spediscono altra fiata a Bessa chiedendo il motivo del suo importuno indugiare, e manifestandogli che tra poco tornerebbero all’assalto esortanlo ad uscire pur egli in tempo con tutte le sue forze contro de’ Gotti; ma questi rifiutossi pur ora ad ogni cimento col nemico al di fuori. Gli altri non di meno fermi nel proposito di sorprendere i barbari con maggior numero di soldatesca tenevansi già pronti, quando un milite d’Innocenzo disertato al re de’ Gotti appalesógli che nel venturo giorno il presidio di Porto procederebbe a combatterlo; e questi pose in agguato ovunque divisò opportuno uomini bellicosissimi, nelle cui insidie il dì appresso incapparono e truppe e duci imperiali; di guisa che la massima parte v’ebbe morte in una a Valentino e Foca, ed i pochissimi campati dal pericolo ridussersi nuovamente a Porto.
II. Di quel tempo il romano pontefice Vigilio inviò a Roma dalla Sicilia, ov’e’ dimorava, moltissime navi cariche di frumento nella persuasione che ai conduttori di esse non fallirebbe mezzo di entrarvi; tuttavia quando il naviglio ebbe dirizzato le prore a quella volta i nemici addivenutine consapevoli, precedendolo di poco, giungono furtivamente nel porto, e mettonsi in agguato entro ai fossati delle mura a fine d’impossessarsene a tutto bell’agio non sì tosto arrivato. Se non che veduti dalle scolte a difesa del castello Porto, l’intero presidio ascende precipitoso ai merli, e coll’agitar delle vesti procura accennare ai marini di non farsi oltre, e volgere altrove, dovunque piacesse al fato, il corso loro. Ma quelli non compresi i segni, ed argomentando che le truppe colà rinchiuse tutte festanti e liete invitasserli ad afferrare, sollecitata la navigazione da propizio vento, poco stante ripararono nel porto; intra gli altri Romani poi, oltre le ciurme, condotti da quel naviglio è uopo rammentare un vescovo di nome Valentino. I barbari in questa balzano fuori dalle insidie e senza opposizione alcuna predano le navi; accordata quindi la vita al vescovo il menano al re, e fatto macello dei rimanenti si partono seco portando e vascelli, e quanto eravi dentro. Totila interrogato a suo piacimento Valentino, ed incolpatolo di menzogna comandò gli si mozzassero le mani. Con tali cose ebbe fine il verno dell'anno undecimo di questa guerra che Procopio tramandò per iscritto alla posterità sua.