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I boccali di Montelupo/Lettera III

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Lettera III

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Lettera II Lettera IV

[p. 51 modifica]riunire quel pochi particolari assegnamenti, che avevo in quella Città, m’impegnavano a trattenermi. Quasi un anno vi volle per liquidare, ed appianare perfettamente gli affari tutti assai complicati della ragione mercantile di Goulard, fatta cessare da Gilberto. Finalmente sistemato il tutto a seconda dei dilui desideri, ed insieme raccolti i miei piccoli fondi, presi dal medesimo congedo, ancorché volesse egli, che io mi trattenessi fino alla celebrazione prossima dei dilui sponsali, partii con la mia Amalia, e Felicita in una Pollacca Austriaca diretta a Napoli.

Quanto felici furono tutti i miei precedenti viaggi per mare, altrettanto fu questo strano, e periglioso a cagione dei Venti vari, e sovente contrari, che dominavano, correndo il mese di marzo; ed in ultimo una fiera burrasca, allorchè eramo vicini alla costa dalla Corsica, trasportò il nostro Naviglio fra gli scogli di quell’Isola, ove ai stette più volta in pericolo di sommersione, e fu propriamente un miracolo, che si evitasse lo sfacelo del Bastimento.


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[p. 52 modifica]I disastri di questo viaggio, oltremodo prolungato, e singolarmente questa perigliosa tempesta, che tanto ci aflisse, erano certante i preludi delle nuove sciagure, che mi sovrastavano: ma io, preoccnpato sempre lo spirito da quelle sofferte e distratto dai perigli presenti, speravo invece che superati questi sarebbero ormai finiti i miei travagli, e cosi procuravo tranquillizzarmi. Felicita nei più terribili momenti fece prodigi dì fortezza, e di virtù, sebbene apprendesse più degli altri quanto era incera la nostra esistenza: essa confortava ì più timidi, incoraggiva i marinari, ed eccitava tutti a implorare il soccorso divino. Amalia per altra stette quasi sempre in concerto, in specie quando sentiva gli urli dei marinali spaventati, ed a fatica potevamo acquietarla; ma tornato al fine a risplendere il vago sole, e giunti assai vicini alla nostra terra, essa pure tornò a rasserenarsi, ed a gioire con noi, e più dolcemente di noi. [p. 53 modifica]

LETTERA III.

Montelupo 20. Ottobre 1817.


N
on si era ingannato Eusebio nel pensare che la lettura della parte della sua istoria comunicatami mi avrebbe impegnato ad affrettarmi di sentirne la fine. Non indugiai molto a tornar da lui in ora sollecita dopo il mezzogiorno, a fronte del caldo piuttosto veemente, sapendo già che egli mai andava a riposare nel dopo pranzo; ed appena arrivato in sua casa, ove respiravasi un aria assai temparata, ricevute mille officiosità, e presi alcuni sorsi del più grato liquore della dilui vigna, gli dissi. - Perdonatemi, a pranzo da voi verrò in altro gioran, in questa mattina non potevo: andiamo, andiamo, lasciamo i complimenti. Io amo d’intendere il restante delle vostre avventure, ed ho per questo preso a soffrir questo caldo; non perdiamo tempo. - Si passò allora nel solito dilui gabinetto, ed egli si accinse ivi a contentarmi. [p. 54 modifica]

PARTE SECONDA

DELL'ISTORIA DI EUSEBIO

NARRATA DA LUI MEDESIMO


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osto piede a terra nella mia patria,prese a dire Eusebio venne Filippo mio fratello a salutarmi nel mio appartamento con disinvoltura, ed apparente gradimento, come aveva praticato la prima volta, se non che allora pareva sapesse meno occultare il malcontento in cui trovavasi per la mia presenza. Costantino suo figlio maggiore era il solo, che esultasse per la mia venula, e mi mostrasse affetto con ingenuità, ma come di nascosto a suo padre: l'altro figlio era per la più tenera età incapace a sviluppare, e spiegare quei sentimenti, cui poteva essere nell'interno inclinato.

Stavo una mattina discorrendo col mio [p. 55 modifica]fido amico Cesarini, che aveva favorito venir da me di buon mattino, per concertare il sistema da tenersi per la divisione, che volevo effettuare con mio fratello del patrimonio comune, quando entrò Felicita tutta smaniante nella stanza, dicendomi, che l’Amalia, quale da due giorni aveva un poco di febbre, dopo aver passata una cattiva nottata, era attualmente attaccate da fiere convulsioni. Corsemo tutti al dilei letto, ed ob qual vista! quale spettacolo compassionevole il veder quella tenera creatura grondante di sudore agitarsi in mille varj modi, e con penosissime contorsioni! Sopraggiunse il medico, e le apprestò dei rimedi, che temporaneamente le calmarono le convulsioni, tentò estinguere la falange verminosa, che giudicava la causa primitiva, e potente della febbre, e degli altri mali, ma tutto fu inutile; dopo due altri giorni di si fiera malattia, interrotta da pochi, e rari momenti di minore agitazione, la mia Amalia, la mia cara speranza, il mio unico conforto nelle tribolazioni, che attorniavano il mio spirito, dovè soccombere,—


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[p. 56 modifica]Non posso dirvi, nè voi potete immaginarvi in quale angoscia mi gettasse questo nuovo inaspettato disastro; io credei allora aver certamente perduto tutto; parevami esser rimasto come isolato nel mondo, e non sapevo più qual conto fare della mia vita. Il mio amico non mi abbandonò mai, ed egli, a dire il vero, mi faceva di quando in quando con le sue affettuose cure tornare in me, riconoscere che non ero solo nel mondo; ma che fa l’amicizia ad un cuore trafitto in tali, e tanti modi da non poter più ottenere la cicatrizzazione delle piaghe.? Ella è di gran sollievo nei mali leggieri, ma di assai tenue nei gravi, ed incurabili: in fatti se ci si può sgravare delle afflizioni in seno dell’amico, dividendone il peso, ne deve seguire, che essendo quelle molte, e gravi, deve il cuore continuare ad essere oppresso, o almeno angustiato molto anche dalla metà del loro peso.

Decorsi varj giorni senza che potessi occuparmi altro che dei miei mali, rivolsi di nuovo il pensiero agl’interessi con mio fratello. [p. 57 modifica]Una sera sortendo dalla casa del Cesarini, ove solevo passar qualche ora, ed essendo meco il dilui vecchio servitore Stefano che andava a porre delle lettere alla posta, quando si fu all’ultima scala, andando lentamente perchè trovammo spento il lampione, si senti uno sparo di pistola verso di noi, dal quale però non si restò offesi; ma il povero Stefano essendo già in fondo alla scala, fu assalito nell’istesso momento da due persone, fra le quali cadde in terra nel volersi sottrarre, e ricevè un colpo di stile in una spalla; erano per reiterarsi i colpi, ma uno di quei malvagi dalla voce del vecchio, e dal barlume, che veniva dalla porta di strada, conosciuto l’errore, disse all’altro sotto voce - Lascia stare, non è il Marsiliese! A questo indiretto annunzio, io che ero rimasto, non veduto, in cima alla stessa scala, risalii l’altra in gran fretta chiedendo ajuto ad alta voce; onde coloro intimoriti dagli urli miei, e di Stefano, che gridava - obimè, muojo se ne fuggirono.

Rientrato nell’appartamento del Cesarini, [p. 58 modifica]mi gettai sopra un sofà mezzo morto. Fu accorso a prendere Stefano, che fu trasportato sopra un letto semivivo, avendo perduto molto sangue. Venuto poco dopo il Chirurgo, medicò la dilui ferita, che dichiarò senza verun pericolo, custodito però che fosse tal vecchio col dovuto riguardo; e questi, quando fu tornato pienamente in cognizione, confermò, che aveva egli pure sentito dire a uno degli aggressori - Fermati! non è il Marsiliese.

Io restai nella notte presso l’amico, aderendo volentieri alle dilui cordiali premure, perchè ero in vero molto impaurito. Non sapevamo trovar motivo nell’aggressione di coloro, mentre pereva diretta alla mia persona e non al denaro, di cui non vi era presunzione ne avessi indosso una quantità rilevante; dovemmo convenire, che fossero due sicari, e circa il committente noi dubitavamo molto di Filippo, ma io non sapeva accogliere un tal sospetto, nè ammettere un cuore così disumano in un fratello, e procuravo respinger questa idea, che [p. 59 modifica]tornava sempre ostinatamente a ripresentarmisi. Questo attentato, andato, per grazia certamente di Dio, a vuoto contro di me, mi servi però di un salutare avvertimento, e mi fece risolvere ad abbandonar subito, per la mia salvezza la patria, ed i parenti, e cercare un luogo, ove il cielo mi si dimostrasse più propizio.

Partj dunque nel giorno appresso per Romea, senza aver veduto che Costantino mio nipote, quale era venuto la mattina a trovarmi, saputo il successo della sera innanzi. Incaricai, prima di partire, della spedizione delle mie robe a Roma sollecitamente La Felicita, quale tuttora dolente per la morte di Amalia, che amava qual figlia, ed alquanto indisposta di salute, pensò di andare presso alcuni suoi parenti in Campagna; e lasciai l’amico piangente, che mi assicurò della più vigilante assistenza per la buona direzione, e retta ultimazione della mia divisione patrimoniale con Filippo, per la quale avevo delegato nella stessa mattina i poteri, e le facoltà tutte occorrenti [p. 60 modifica]ad un vecchio Notaro già amico di mio padre.

Stetti in Roma nella massima ritiratezza, senza trattar con alcuno, e mutando spesso quartiere, per il corso di circa due anni, che tanto ci volle per ultimare le liti, con mio fratello, attesa la sua accanita tenacità nel contrastar tutto, l’abitudine di occultare tutto ciò che poteva, e la ripulsa ad ogni proposizione di stralcio, o amichevole. accomodamento. Fatte finalmeute le divise, io feci vendere ciò che era nella mia parte di Beni stabili, e fu realizzato per me in tutto un Capitale di sole trentamila lire, e poco più, detratte le considerabili spese sofferte, non essendo stato possibile render debitore Filippo di alcune somme non tenui, per la mancanza a mio favore delle occorrenti giustificazioni.

Risolvei allora discostarmi anche di più dalla patria, per la quale avevo nell’ultima mia permanenza concepito tanto aborrimento, e mi trasferii in Firenze; Ivi mi feci pervenire per cambiali la somma [p. 61 modifica]ferita, e cumulatevi le tredicimila lire, che mi restavano dei miei assegnamenti di Marsilia, posi questi Capitali in una Banca di tal Città delle più cospicue, e sicure, e incominciai a vivere con i frutti di quelli. Invitai la Felicita a venir meco, se piacevale, per prender la direzione della mia casa; ed essa, che sperava sempre esser da me ricercata, portossi senza frappor dimora ad assumere tale incarico.

In questa vaga città io potevo viver tranquillo, nulla avevo ormai più da temere per la mia sicurezza, sotto la salvaguardia della vigile polizia, e nulla più pareva potesse accadermi di sinistro, quanto a mali morali, per lacerarmi il cuore, non essendovi più alcuna persona, che ne impegnasse potentemente gli affetti; ma che! le ferite già ricevute erano in esso sempre aperte, e gementi, nel mezzo vi esisteva un gran vuoto, ed il mio spirito sempre portavasi anche involontariamente in quel lugubre recinto, e contemplando quei mali, si riproduceva le flebili idee delle loro cause, [p. 62 modifica]e la dolce memoria delle persone, che ne erano state il soggetto; così non poteva mai la tristezza da me separarsi, e decorso appena un anno, mi divenne la stessa Firenze tediosa, e d’ingrata dimora. Volli dare una corsa a Livorno per vedere se quella Città, in cui tanto fioriva il Commercio, avesse più appagato il mio genio; ma ivi giunto, poco mancò che non voltassi addietro nello stesso giorno, poichè la vista del porto, la prossimità del mare ovunque presente, mi facevano ad ogni istante rammentare la mia Elvira e là mia Amalia, ora nel porto di Cadice, ora in quello di Marsilia, ora in quello di Civitavecchia, e non potevo sopportare tali rimembranze senza piangere.

Fu allora, che mi avveddi, che mi conveniva cercare un asilo in qualche luogo appartato della campagna. Pensai dunque appigliarmi a tal partito. Lasciai Livorno, e trattenutomi pochi giorni in Pisa, presi in seguito ad esaminare a piccoli viaggi i vari paesi, e Villaggi, che restano sopra la [p. 63 modifica]strada di Firenze. Empoli mi piacque molto per la sua aggradevole situazione lungo le amene rive dell’Arno; era ivi per me anche a proposito il soggiorno, per la vicinanza di Firenze, ove avevo i miei capitali; ma quest’Empoli, luogo di molto traffico, quasi Emporio secondario di commercio, riescivami troppo clamoroso, ed inquieto.

Mi dilettava però assai la vista delle vaghe adiacenze di quel paese, cosicchè presa una mattina la riva dell’Arno verso levante, andai come in traccia della terra ove posarmi. Travai dopo poco più di un miglio un piccol villaggio, che ne aveva altro più cospicuo a fronte sulla riva opposta, chiamate Limite, che è il Cantiere dell’Arno, fabbricandosi ivi di continuo Barche, e Navicelli; ma passai oltre per meglio osservare questi Luoghi al mio ritorno. Pervenni dopo oltre due miglia ad altro piccolo paese detto la Torre, e questo mi comparve a prima vista più raccolto, e quieto di quanti ne avevo fino allora veduti.

Tornai in Empoli senza più esitare sopra


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[p. 64 modifica]la mia scelta, ed il locandiere presso il quale avevo preso quartiere, mi trovò alla Torre con somma facilità da prendere in affitto una comoda, e pulita Casetta, con un piccolo orto. Fissai pertanto ivi sollecitamente la mia dimora, e fecivi condurre fra non molto la Felicita da Firenze, con la necessaria mobilia, che colà avevamo. Ivi giunta, e veduto nel giorno appresso il paese, lo trovò essa pure aggradevole, e di pace; ed applaudendo alla mia determinazione, mi andava dicendo ― Oh! qui, se Dio vuole, voi viverete più contento. Quì, io spero, devon ormai esser finite le vostre traversie; qui non si deve ormai più pensare che a vivere in calma, ed a godere l’amenità della campagna.

Il presentimento della Felicita non era mal fondato; ma io avvezzo sempre a penare, non sapevo anche abbandonarmi ail’idea piacevole di calma, di godimento. Con tal dubbiezza nell’animo mi portai nella terza sera passeggiando verso la Real Villa dell’Ambrogiana, prossina alla Torre, [p. 65 modifica]come sapete. Voltendo in una strada costeggiata da un lato da una fila di bei cipressi, mi vedo ad un tratto comparire innanzi un Religioso; lo saluto, egli mi corrisponde, e ci si fissa lo sguardo l’un verso l’altro con attenzione; quando si è per trapassarci, si retrocede, e ci si geɩta, con un grido unanime, nelle braccia l’uno dell’altro.... Oh Dio! qual dolce momento avevi riserbato per me! Questi era il Padre Giacomo, il mio caro, e rispettabile Zio. Avevo sentito, che vi era presso quella Villa un Convento di Religiosi, ma non ero anche informato, che fossero della Riforma dell’Ordine di S. Pietro di Alcantara, e tutti Spagnoli, onde non potevo mai pensare a un sì lieto incontro. Egli similmente, che non aveva di me avuto più novelle, non poteva mai immaginarsi che io fossi in quelle parti; inconcepibile fu dunque il nostro contento, come indescrivibile la nostra sorpresa. Si stette buon pezzo abbracciati strettamente insieme senza poter proferir parola; indi portatici in mia casa, egli mi [p. 66 modifica]spiegò brevemente come dopo la sua dimora nel Messico, e dipoi a Madiid per un poco di tempo , trovavasi da circa dieci anni fa all' Ambrosiana, ov'era stato in addietro Lettore di teologia, ed era attualmente Guardiano . Io gli epilogai le mie passate vicende , riserbandomi raguagliarlo più dettagliatamente in appresso , ed egli intanto sparse com me alcune lacrime alla memoiia di Elvira, e della mia Amalia.

L'esser cosi come riunito , per la somma vicinanza, al Padre Giacomo finì, potete credere, di rendermi il soggiorno, della Torre piacevole , e giocondo. Noi eramo quasi ogni giorno insieme, e spesso commensali, o nella di lui cella, o in mia casa, ove Felicita prendendo parte al nostro giubbilo , non ometteva cure per render la nostra mensa nella sua sobrietà squisita, e le nostre conversazioni dilettevoli.

Non mi passò gìà più per la mente di cangiar soggiorno; che anzi si andavano il Padre Giacamo ed. io , facendo delle diligenze per acquistare in quei contorni degli [p. 67 modifica] Effetti, e rinvestirvi in tutto o in parte i miei capitali; ma non si presentò mai veruna propizia occasione, e solo ci furon proposti questi Beni, che ora possiedo, ni quali non volli allora attendere, perchè troppo segregati, e troppo lontani da mio Zio. Io ero ormai determinatissimo a non lasciar più il paese della Torre, ed avendo riuniti in mia casa tutti i comodi più importanti, solevo dire. hic requies mea.

Erano scorsi così, ahi troppo rapidamenle! quattro anni, senza che fosse stata più funestata la mia esistenza da disastri, o gravi afflizioni; solo mi fu di qualche pena per circa un anno, una malattia di nervi, che tormentò il Padre Giacomo a cagione della sua grave età, derivanta dall’essere, per l’austerità della vita, reso, da che lo lasciai in Spagna, estremamente estenuato. Io non abbandonai, durante la sua malattia, quasi mai la dilui cella; e ristabilito che fu, si rincominciarono le nostre passeggiate piacevoli, e periodiche riunioni; così io tornai ad esultare alquanto della calma


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[p. 68 modifica]del mio animo, se non di una positiva prosperità.

Ma, oh Dio! troppo a lungo mi avevi fatto godere di un sistema di vita giulivo, che non meritavo: altra fatal disgrazia era pronta a reprimere la mia poca saggia esultanza, e ad immergermi di nuovo nella tristezza. In ora insolita, nella mattina di un di festivo, nell’anno 1788. viddi comparire in mia casa il Padre Giacomo, non più ilare, e ridente, ma oltremodo affannato, e confuso. Che vi è mai accaduto? gli richiesi subito con anzietà. - Nulla per ora; - mi rispose ma un evento inaspettato,e dispiacente all’eccesso è per opprimerci entrambi. Ho ricevuto notizia poc’anzi da persona di mia confidenza, che si parli in Firenze della soppressione del nostro Convento, e del nostro rinvio in Spagna, e vengo assicurato, che tal disposizione potrà forse esser differita, ma dovrà avere effetto immancabilmente. - Io restai immobile a tal discorso, e sentii un freddo gelo scorrermi per le vene, e togliermi il colore dal volto. Esclamai poi, [p. 69 modifica]strappandomi i capelli, ohimè che ascolto! eccomi pienamente infelice come prima!... ove anderò? ove potrò trovar pace? chi mi conforterà nelle mie angoscie? Chi mi darà più ajuto, e consiglio?...

Tranquillizzatevi, soggiunse il Padre Giacomo. Se voi non gradite più di ster quì, io ho già pensato, che voi potreste vedere di acquistare quei Beni presso il Malmantile, che ci erano stati offerti due anni fa; credo che il proprieterio non sia lontano anche adesso dall’aderire alla vendita. Sembrandomi questo progetto adattatissimo alle mie circostanze, poichè non mi sarebbe stato più possibile vivere senza la compagnia di mio Zio in quei luoghi, ov’ero abituato a goderla, lo pregai a intraprendere la realizzazione, se era sperabile, di un tal progetto con le debite convenienze, giacchè egli aveva mezzi indiretti, ma abilissimi per trattarla; e frattanto essendo l’ora del pranzo, che egli doveva fare in tal mattina con i Religiosi, sortii seco per accompagnarlo. [p. 70 modifica] Oh qual’umiliante, ma giusta riflessione debbo fare! io gli diceva per via. Quanto son vane, e fallaci le umane determinazioni! oh quanto è soggetto a variar di pensiero lo spirito umano per l’incertezza delle cose future! io avevo stabilito di finir qui i miei giorni, ed ecco che la mia disgrazia in’incalza, e mi spinge altrove irresistibilmente. Trovavo gli Effetti presso Malmantile troppo appartati, e selvaggi, ed ora debbo riconoscerli per me a proposito, ed al sommo apprezzabili. Dio solo sa quel che a noi conviene. Egli solo è il dispositore del nostri successi, ed è inutile che noi contiamo sopra un evento, cui pensiamo dar causa da noi medesimi.

- Sì, è verissimo;- riprese il padre Giacomo - voi parlate cristianamente. L’uomo prudente non deve occuparsi del suo stato, nè delle sue determinazioni par il futuro, che in linea di vaghi progetti; mai contarvi sopra mai sperarne il propizio avvenimento con sicurezza, ma aspettarne piuttosto il sinistro. Così sta preparato a tutto: [p. 71 modifica]sì non si trova mai deluso; non angustia il suo spirito coll’anzietà, coll’impazienza, con vane aspettative, e fa che vige anzi in esso giuliva la vera confidenza nel supremo Distributore di ogni bene, e provido moderatore delle umane vicende - Immersi in queste meste, ma utili ponderazioni, noi arrivammo alla porta del Convento, ed ivi ci separammo ambedue sospirando.

Avendo quindi il P. Giacomo fatto riassumere il trattato della compra di questi Beni, dello stato, e valor dei quali si potè per mezzo di abili, ed oneste persone esser bene informati, in poco più di un mese ne restò conclusa la compra per scudi quattromila sei cento, ed io mi portai in Firenze a stipularne il contratto.

Fu bene che si accelerasse questa compra, perchè non vi corse molto, che venne di fatto si Religiosi officialmente annunziata la soppressione del loro Convento dell’Ambrogiana, con dover essi tornare nei Conventi di Spagna. Passò quindi come in un momento anche quel tratto di tempo, che corse fino [p. 72 modifica]alla partenza di quelli ottimi Religiosi per Livorno, ove dovevano esser ricevuti in una Fregata, che attendevali per ricondurli in Spagna.

Giunse pertanto il giorno, abi tristo, e memorando giorno! di tal partenza: ella fu stabilita per dopo la metà della notte, da evitare la troppa affluenza del popolo per accompagnarli. Io mi trattenni col mio caro Zio fino dal principio della sera, senza che ci coricassemo, mentre non era possibile per veruno di noi prender sonno. Si passorno quelle brevi ore nelle occupazioni comuni a quei Religiosi, dipendenti dalla loro partenza, e nel dar l’ultimo addio a tutte le persone ben affette a tali venerabili Sacerdoti, che in buon numero, non ostante il segreto dalla partenza, avevan potato penetrarla, e li accerchiavano; ed il Padre Giacomo, ed io, ci guardavamo ed intervalli fissamente senza parlare.

Faceva compassione il vedere questo buon vecchio, come estatico, e smarrito, ostentar coraggio, ed intrepidezza per non [p. 73 modifica]affliger me d’avvantaggio. Giunto poi il momento fatale, egli dicevami, nel tempo che lo accompagnavo all’Arno per imbarcare con gli altri. - Addio, caro Eusebio . . . . io non vi rivedrò più;... ma .. .. anche pochi giorni vi sono per me di vita. . . Questo allontanamento permanente da voi me li abbrevierà... si me li abbrevierà sicuramente. E voi....continuate a temere, e rispettare, come sete solito, il Grande Iddio. Egli vi consolerà.... Vivete tranquillo, se non potete esser felice.... E chi puo sperar felicità in questa valle di lacrime? ella non ha sede fra noi; nò ella non ha che un ristretto, e precario asilo nel cuore dell’uomo giusto... Ma che’.. ivi pure è disturbata, e respinta di tempo in tempo delle cure penose, dalle aspre traversie... Egli non gode al più che dei momenti di calma, che non son per altro dati che ad esso. Ma per me... abi per me neppur questa puo più esservi!... è svanito per me anche ogni dolce alito di quiete, che ristora di quando in quando l'affannato spirto [p. 74 modifica]la morte sola....che mi sovrasta... porrà fine...Io interruppi i suoi tronchi accenti gettandomi al di lui collo, fra i singulti. ed il pianto, non potendo articular parola, ed egli strinsemi teneramente al seno, bagnandoci scambievolmente il volto di lacrime... Ma i dilui compagni, strappandolo dalle mie braccia, lo trassero nella barca, e ci separaron per sempre.

Io tornai a casa come per istinto, senza sapere ov’ero, nè dove andavo, tanto era il mio animo smarrito. Ivi stavami Felicita attendendo, per lasciar quel luogo; ed all’apparir dell’aurora ci posemo in viaggio per questo nuovo soggiorno, avendo quivi nei giorni antecedenti spedite tutte le nostre robe. Di qui io feci proposito non più sortire, che per fare le mie solitarie passeggiate, e l’ho finqui mantenuto per il corso di circa anni ventinove, ma credo che in breve mi farà sloggiare la morte.

Gli domandai come aveva potuto star tanto tempo così segregato dalla società, e senza conversar con alcuno, ed egli mi rispose - In [p. 75 modifica]principio non ebbi la minima voglia di trattar con altri, che anzi ne evitavo il caso, non potevo veder veruno, e trovavo tutto il mio piacere a star solo, a pascolarmi con le mie melanconiche reminiscenze, e cupe meditazioni, in seguito poi, ancorché stanco di un sistema così nojoso per se stesso allo spirito, ho continuato ad amare la ritiratezza per abitudine.

Ben è vero, che modernamente non sgradisco più quanto prima la compagnia di qualcheduno, come singolarmente del nostro Paroco, che sovente ci favorisce, e mi è di non lieve conforto. Due anni fa ebbemo qui Costantino mio nipote, che potè rintracciare questo mio asilo, e si trattenne qui circa un mese. Egli mi ragguagliò della morte seguita di Filippo suo padre nell'anno avanti, per un colpo di pistola scaricatogli dai masnadieri, che assalirono la carrozza, ov'egli trovavasi con altri passeggieri tornando da Napoli; che lo stesso fu in quall'occasione pure derubato, e di una sommá denaro non indifferente, e che per tal