Recensione: À l’ombre des filles
- Nel secondo lungometraggio di Etienne Comar, Alex Lutz entra nel mondo carcerario femminile animando un laboratorio di canto lirico
"Come i fiori del mio giardino, metto radici ovunque vengo annaffiato". È con l'aiuto di queste semplici parole di Où l’on me verse du bon vin (attribuito a Mozart) che un insegnante di canto lirico fa la conoscenza di ciascuna delle voci delle sei donne iscritte al suo laboratorio. Osare fidarsi di se stessi, non preoccuparsi della precisione, isolarsi dall'ambiente, aumentare la consapevolezza vocale, lavorare sul rilassamento e sulla respirazione, rilevare dove sei emotivamente, divertirsi, esprimersi, trovare la bellezza nel canto e non dimenticare che "ascoltare è anche scegliere ciò che si vuole sentire": tutti i cori fanno lo stesso percorso di apprendimento dell'armonia, ma quella posta da Étienne Comar al centro del suo secondo lungometraggio, À l’ombre des filles [+leggi anche:
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scheda film], proiettato in anteprima al 13° Les Arcs Film Festival, è molto speciale visto che siamo in prigione.
"Non siamo all'opera qui! (...) La maggior parte di loro sono lì per reati di sangue, omicidi familiari, casi di droga, aggressioni e anche qualche caso di demenza". Per Luc (Alex Lutz), l'universo penitenziario, dove un modesto diapason può essere considerato un'arma, è totalmente nuovo, e le lezioni che impartisce come parte di un programma di integrazione e libertà vigilata, un tuffo nell'ignoto dove deve tenere la linea dell’insegnamento della sua arte adattandosi alle personalità molto diverse delle sue allieve che soffrono più o meno acutamente della loro prigionia. Una scoperta progressiva e la costituzione di un gruppo che attraversa tutti i toni (a volte burrascosi, a volte buffi, spesso struggenti sotto una superficie dura) che fungono anche da specchio per il professore segretamente alle prese con l’elaborazione di un lutto personale.
Come trovare l'armonia in circostanze apparentemente molto ostili, sfuggire mentalmente a cattivi karma e all'ombra onnipresente di guardie e sbarre, accettare la propria fragilità, creare nuovi legami, risvegliare corpo e anima dal torpore malinconico che allevia le ferite profonde? Attraverso la metafora del carcere (accentuata visivamente dal formato 1.33) e nel corso delle dieci lezioni scandite da una sceneggiatura molto ben strutturata (firmata dal regista), Étienne Comar esplora, con un buon equilibrio tra trama romanzata e realismo documentaristico, gli aspetti contrastanti del concetto di liberazione.
Interpretato da un ottimo cast femminile che mescola professioniste (Agnès Jaoui, Veerle Baetens, Hafsia Herzi e Marie Berto) e non professioniste (Fatima Berriah e Anna Nadjer), il film riesce a regalare a ciascuna delle protagoniste il proprio spazio di intimità e umanità, e lo sguardo si sposta sottilmente dalla scia guida di Alex Lutz (notevole nel suo ruolo di leader introverso molto più inafferrabile e ambivalente di quanto sembri) alla quotidianità carceraria delle donne di questo particolarissimo coro. E poi c'è la musica, da L'amore è un uccello ribelle di Bizet a Bang bang, da Cum Dederit di Vivaldi a India Song di Jeanne Moreau, fino a Où sont les femmes? di Patrick Juvet, senza dimenticare il rap Plane di Glauque nella colonna sonora. Perché "è a questo che fa bene cantare, è che possiamo essere diversi e più persone allo stesso tempo", come un regista che lavora al crocevia tra cinema d'autore e cinema popolare, e che tiene la nota tra precisione ed empatia, dimostrando dopo Django (il suo primo lungometraggio da regista) che sa rivelare l'umano sotto la sua magistrale armatura da sceneggiatore.
Prodotto da Maneki Films e Arches Films, À l’ombre des filles è coprodotto dai belgi di Versus Productions, la RTBF, Proximus, Voo & Be TV. Il film sarà distribuito in Francia da Ad Vitam il 6 aprile 2022. Le vendite internazionali sono affidate a Playtime.
(Tradotto dal francese)
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