Recensione: Non riattaccare
- Con questo thriller sentimentale Manfredi Lucibello sperimenta una regia claustrofobica e virtuosistica per uno straordinario one-woman show di Barbara Ronchi
Chissà se il filone cinematografico ambientato durante i lockdown imposti dal covid si andrà esaurendo o diventerà un sottogenere, come quello della fantascienza post apocalisse zombi in cui gli eroi si aggirano in città deserte. Non riattaccare [+leggi anche:
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scheda film] di Manfredi Lucibello, unico lungometraggio italiano in concorso al 41mo Torino Film Festival, si svolge tutto – e in tempo reale – in una notte di marzo 2020, quando le vittime del virus in Italia sono quasi mille al giorno. Il coronavirus però c’entra poco e il coprifuoco rappresenta solo un’opportunità per creare il suspence necessario per un dramma in cui personaggi principali sono una coppia di ex.
Lucibello offre alla protagonista Barbara Ronchi l’occasione di avere 90 minuti di “palcoscenico” tutto per sé, e questo è già straordinario, se non unico, nel panorama cinematografico italiano. La brava attrice romana, David di Donatello 2023 per Settembre [+leggi anche:
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scheda film], non ha deluso le aspettative e certi piani ravvicinati del film rimangono impressi nella mente.
Barbara Ronchi è Irene, che viene svegliata nel cuore della notte dal ronzio del suo cellulare, in una silenziosa Roma in quarantena. Accanto a lei sta dormendo un uomo. Al telefono è Pietro (Claudio Santamaria, che vedremo solo per una manciata di minuti nel finale) il suo ex compagno che chiama dalla villetta al mare a un’ora dalla capitale. L’uomo è confuso, chiaramente fuori di sé. Salito sul tetto, minaccia velatamente di lanciarsi nel vuoto. Irene cerca di distrarlo, di trattenerlo al telefono, mentre raccoglie le chiavi dell’auto e parte per raggiungere, prima che si ammazzi, la persona che ha lasciato 7 mesi prima.
I successivi 80 minuti del film si svolgono tutti in auto, in un filo diretto con una voce senza volto. Il riferimento immediato è a Locke [+leggi anche:
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scheda film], dramma piscologico e piccolo capolavoro di ultra-minimalismo visivo del britannico Steven Knight, con una performance poderosa di Tom Hardy che tenta di rimettere ordine nella sua vita via telefono, rinchiuso nell’abitacolo di una BMW X5. Se lì c’era un one-man show che emanava empatia, qui c’è un one-woman show che ci fa rimanere per lunghi tratti del film con il fiato sospeso, grazie anche ad alcuni classici espedienti del cinema di genere: il telefono ha la batteria quasi scarica, l’auto è a secco di benzina, lei ha dimenticato carta di credito e patente di guida a casa e c’è un’auto della polizia proprio lì davanti… Non per niente producono i Manetti Bros., maestri del noir che hanno girato un intero film dentro un ascensore (Piano 17). Lucibello, al suo secondo lungometraggio di finzione dopo Tutte le mie notti [+leggi anche:
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scheda film], sperimenta una regia claustrofobica e virtuosistica con l’aiuto della fotografia notturna di Emilio Costa, le musiche atmosferiche di Francesco Motta e il montaggio serrato di Diego Berrè.
Il regista ha dichiarato di aver voluto girare una storia d’amore come un thriller. Tuttavia Non riattaccare, scritto da Lucibello assieme a Jacopo Del Giudice dal romanzo omonimo di Alessandra Montrucchio, si presta ad una doppia lettura. Da un lato c’è il thriller psicologico-sentimentale di buona fattura il cui romanticismo smonta un po’ la problematizzazione drammatica di una resa dei conti amorosa. Dall’altro vediamo con chiarezza una donna che ha chiuso traumaticamente una relazione dannosa con un maschio debole e codardo, dopo essere stata “costretta” ad andare a vivere a Ginevra, dove Pietro lavorava, e prendere piscofarmaci per combattere la depressione. E che ora corre in soccorso, vittima di una devastante sindrome della geisha che la porterà verso un finale ironicamente crudele. Allo spettatore il compito di interpretare.
Non riattaccare è prodotto da Mompracem con Rai Cinema. I Wonder Pictures lo distribuirà in Italia.
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