Romulea (città antica)
Romulea era una città sannita e successivamente romana. Sorgeva nel luogo dove si trova attualmente Bisaccia.[1]
Romulea sannita
La Romulea sannita si estendeva sui seguenti territori:[2]
Vici e pagi | Superficie (kmq) |
Carife | 16,62 |
Castelbaronia | 15,34 |
Vallata | 47,67 |
Trevico | 10,49 |
S. Nicola Baronia | 6,87 |
Vallesaccarda | 14,24 |
S. Sossio | 9,26 |
Flumeri | 4,24 |
Scampitella | 5,24 |
Bisaccia | 101,41 |
Guardia dei Lombardi | 101,41 |
Totale | 336,79 |
Il territorio di Romulea, stato tribale sannita, comprendeva quindi diversi paesi attuali, tra cui Carife e Castelbaronia, luoghi dove risiedevano i primores (nobili) sanniti.[3] Nel territorio di Bisaccia sono stati rinvenuti dall'archeologa Roberta Guidi i resti dell'abitato sannitico, però completamente incendiati: gli archeologhi hanno subito pensato all'incendio di Romulea ad opera dei Romani come causa dei resti bruciati.
Essa era un oppidum, cioè un'altura fortificata, che fu eretto dai Sanniti con la funzione di presidiare il suo vasto territorio oltre alla via Appia.
Conquista romana
Durante la terza guerra sannitica, Romulea venne espugnata e saccheggiata nel 293 a.C. dal console Publio Decio Mure o, secondo un'altra fonte annalistica, dal console Fabio (297 a.C.).[4]
Lo storico Tito Livio nella sua opera Ab urbe condita narra la presa di Romulea:
«Nam P.Decius, ubi conperit per exploratores profectum Samnium exercitum, advocato consilio "quid per agros" inquit "vagamur vicatim circumferentes bellum? Quin urbes et moenia adgredimur? Nullus iam exercitus Samnio praesidet; [...]
Ad Romuleam urbem hinc eamus, ubi vos labor haud maior, praeda maior manet". Divendita praeda ultro adhortantes ad Romulea pergunt. Ubi quoque sine opere, sine tormentis, simul admota sunt signa, nulla vi deterriti a muris, qua quique proximus fuit, scalis raptim admotis in moenia evasere. Captum oppidum ac direptum est: ad duo milia et trecenti occisi et sex milia himitum capta»
«Infatti, Publio Decio, appena venne a sapere dagli esploratori che l'esercito dei Sanniti era partito[5], convocata l'adunanza:-Perché ci aggiriamo per le campagne -disse- portando la guerra villaggio per villaggio? Perché non assaliamo i centri urbani e le postazioni militari? Ormai non vi è nessun esercito a difesa del Sannio. [...]
Avviamoci verso la cinta fortificata di Romulea, dove vi attende una fatica non maggiore e un bottino più grosso"- Venduto il bottino e, sollecitando per di più il comandante, l'esercito si dirige alla volta di Romulea. Anche qui, senza lavori d'assedio e senza macchine da guerra, non appena furono fatti avanzare i reparti, poiché nessuna forza c'era per allontanarli, ognuno nel punto dove si trovava, appoggiate le scale, fecero irruzione contro la postazione militare. La fortezza fu presa e distrutta. Circa 2.300 uomini furono uccisi e 6.000 furono fatti prigionieri»
Romulea romana
Un arx a Romulea
Gli Irpini, e quindi gli abitanti di Romulea, desiderosi di riavere l'indipendenza da Roma, si ribellarono più volte alla Repubblica Romana, alleandosi con i tarantini di Pirro e i cartaginesi di Annibale. Dopo la sconfitta di Capua da parte dei romani gli Irpini furono puniti con la confisca di parte del loro territorio, che divenne Ager publicus populi romani. Subirono inoltre, nel 210 a.C., un "silenzio-stampa", come attestato da Tito Livio:
«I Padri proibirono di far menzione di quelle dodici colonie che col rifiuto avevano offeso la repubblica; i loro ambasciatori non furono né congedati né trattenuti né più chiamati dai consoli. Quella tacita condanna apparve conforme alla dignità del popolo romano.»
Dopo le guerre contro Pirro i Romani, per tener sott'occhio gli Irpini, costruirono un arx (presidio) a Romulea. Essa fu costruita sulle rovine dell'Oppidum distrutto nel 293 a.C. Non si sa il periodo esatto in cui l'Arx Romulea è stata costruita: potrebbe essere stata eretta dal censore Appio Claudio Cieco contestualmente al prolungamento della Via Appia o in seguito alla punizione inflitta dai romani agli Irpini (209 a.C.).
Il nome Bisaccia deriva dal nome di questo presidio romano (Bis arx), che aveva una notevole importanza strategica: infatti serviva per controllare la Via appia e la Via Greca e per controllare ovviamente le popolazioni sottomesse al giogo romano. L' oppidum risulterebbe, secondo un' ipotesi storiografica, citato tra l'altro da Orazio, che però non può dire il suo nome (oppidulum quod versu dicere non est) per il già citato silenzio-stampa.
Stazione dei cavalli: la mansio sub romula
Gli itinerari di epoca romana, come l'Itinerario di Antonino Pio e la tavola di Peutinger, attestano la presenza, a Romulea, di una stazione per far riposare i cavalli, chiamata Sub Romula. Essa distava 21 miglia da Aeclanum.[6]
Secondo Giuseppe Lugli questa stazione si trovava sul Formicoso; secondo invece Nicola Fierro si trovava in località Fontana Serroni, dove fino a poco tempo fa si trovavano resti di epoca romana.
Le stazioni erano provviste di stalle per far riposare o per cambiare i cavalli e altri animali da sella, ma vi erano anche depositi di grano e di altre derrate alimentari, destinate ai soldati. Tutte le stazioni erano rifornite di acqua di sorgente e in esse erano sistemati servizi pubblici e privati come i fornitori di stato, i frumentari (che avevano l'incarico di fornire agli eserciti in marcia le provviste), spie, militari, carpentieri, meccanici, falegnami, veterinari (mulomedici), trattorie, parcheggi.
Forse è proprio qui, presso l'oppidulo quod versu dicere non est, che Orazio soggiornò nel 37 a.C., durante un viaggio diplomatico:
«Quattuor hinc rapimur viginti et milia raedis
mansuri oppidulo quod versu dicere non est
signis perfacile est: venit vilissima rerum
hic aqua, sed panis longe pulcherrimus, ultra
callidus ut soleat umeris portare viator.»
«Voliamo via per 24 miglia per poter pernottare in un fortino che non è consentito citare nel verso, ma dai simboli cartografici è molto facile localizzare: qui si vende la più vile delle cose, l'acqua, ma il pane è veramente squisito tanto che il viaggiatore accorto suole portarselo sulle spalle.»
Purtroppo Orazio non dice il nome della stazione, forse per via del silenzio-stampa che colpì gli Irpini, ma alcuni indizi hanno spinto l'Ispettore Onorario del Ministero dei Beni Culturali Nicola Fierro ad ipotizzare che l'oppidulum di cui Orazio non può dire il suo nome fosse proprio quello di Romulea:
- l'oppidulum, dice Orazio, distava esattamente 24 miglia dal borgo di Trevico; l'oppidulum di Romulea si trovava anch'esso a 24 miglia da Trevico.
- nella mansio c'è carenza d'acqua, che costa quindi cara al viaggiatore; Bisaccia è stata carente d'acqua fino agli anni 50 del XX secolo.
- si trovava nelle guide stradali.
Comunque la località dove Orazio si fermò è incerta: secondo Profirione la località sarebbe stata Aequum tuticum.
Colonia romulensis
In epoca augustea Romulea divenne una colonia romana con il nome di colonia romulensis.[7] A conferma di ciò è stata trovata un'epigrafe:[8]
«C(aio) VIBIO C(ai) F(ilio) POSTVMO CO(n)S(uli) VII VIR(o) EPVL(onum) COLONIA ROMULENSIS»
«A Gaio Vibio Postumo, figlio di Gaio, console settemviro epulone. La Colonia Romulense.»
Gaio Vibio Postumo era un generale vittorioso vissuto ai tempi di Augusto; l'epigrafe denota che costui costruì la colonia romulensis dopo il 16 a.C. per ordine di Augusto.
L'epigrafe sarebbe stata scritta dai veterani che si erano insediati nella nuova colonia in segno di gratitudine nei confronti del fondatore della colonia.
A conferma della costruzione di questa colonia c'è il dato che la località Forma di Bisaccia in latino significa pianta centuriata; e il nome Formicoso potrebbe derivare da Ager formicosus assegnato ai veterani dall'Imperatore Ottaviano.
La colonia romulensis si estendeva da Bisaccia a Flumeri ed era popolata dai corinensis, una popolazione citata da Plinio (cfr., Plinio il Vecchio, N.H., III, 105).[9]
Sono stati rinvenuti i resti di una città romana (forse Corinum) in una frazione di Flumeri, Fioccaglie; tale città fu colonizzata da Ottaviano.[9]
Scavi archeologici hanno confermato l'esistenza, a Bisaccia e nelle zone limitrofe, di villae rusticae, la cui gestione era affidata a un fattore (vilicus).[10]
Storia successiva
Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente, Romulea si trasformò gradualmente nell'odierna Bisaccia. La prima menzione a questo paesino si ha in età normanna, ma venne fondato probabilmente già in età longobarda; sui resti dell'antico oppidum di Romulea i Longobardi costruirono un castello, l'attuale castello di Bisaccia. Fino al 1540 Bisaccia fu anche sede vescovile, fino a quando Papa Leone X non decise di fonderla con la diocesi di Sant'Angelo dei Lombardi. Oggi Bisaccia comprende circa 4.000 abitanti e si trova in Provincia di Avellino, Campania, Italia.
Bibliografia
- Nicola Fierro, Il castello di Bisaccia, pubblicato sul n. 3 (maggio-giugno 1995) del giornale La torre di Bisaccia.
- Nicola Fierro, Aquilonia in Hirpinis: Lacedonia in età sannitica e romana
- Nicola Fierro, Gli stati tribali irpini in epoca sannitica e romana, 1992
- Nicola Fierro, La via Appia da Benevento a Canosa nella Satira di Orazio, 1999
Note
- ^ [1]
- ^ Fierro, Aquilonia in Hirpinis, p. 31.
- ^ cfr. Matilde Romito, Guerrieri sanniti e antichi tratturi nell'alta valle dell'Ufita, schede 444-481, che attesta il rinvenimento in questi due paesi di cinturoni sanniti tipici dell'abbigliamento dei primores.
- ^ Smith, Dictionary of Greek and Roman Geography: Iabadius-Zymethus, p. 855.
- ^ L'esercito sannita, comandato da Gellio Ignazio, con una marcia leggendaria, aveva raggiunto l'Etruria per convincere gli etruschi e altri popoli italici a attaccare Roma.
- ^ Nicola Corcia, Storia delle due Sicilie dall'antichitla piu remota al 1789, Volume 2, p. 527.
- ^ Fierro, Aquilonia in..., p. 83
- ^ AE 1966, 00074 Museo Civico, Larino, Molise, Italia
- ^ a b Fierro, Aquilonia in..., p. 74
- ^ Fierro, Aquilonia in..., p. 94