Ostrea edulis

specie di mollusco

Ostrea edulis Linnaeus, 1758,[1] conosciuta comunemente come ostrica o ostrica piatta[2] o anche come ostrica piatta europea (Regolamento di Esecuzione (UE) 2018/1882 della Commissione del 3 dicembre 2018 - G.U. dell'Unione europea del 04-12-2018 - L 308/21), è una specie di mollusco bivalve della famiglia Ostreidae.

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Ostrica
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
SottoregnoEumetazoa
PhylumMollusca
SubphylumConchifera
ClasseBivalvia
SottoclassePteriomorphia
OrdineOstreoida
FamigliaOstreidae
GenereOstrea
SpecieO. edulis
Nomenclatura binomiale
Ostrea edulis
Linnaeus, 1758
Sinonimi

Monoeciostrea europa (Orton, 1928)
Ostrea adriatica (Lamarck, 1819)
Ostrea boblayei (Deshayes, 1835)
Ostrea corbuloides (Danilo & Sandri, 1856)
Ostrea cumana (Gregorio, 1883)
Ostrea cyrnusii (Payraudeau, 1826)
Ostrea depressa (Philippi, 1836)
Ostrea edulis var. crassa
(Weinkauff, 1867)
Ostrea edulis var. obtusa
(Requien, 1848)
Ostrea edulis var. purpurea
(Hanley, 1854)
Ostrea edulis var. rutupina
(Jeffreys, 1864)
Ostrea edulis var. tarentina
(Issel, 1882)
Ostrea edulis var. tincta
(Jeffreys, 1864)
Ostrea edulis var. venetiana
(Issel, 1882)
Ostrea exalbida (Gmelin, 1791)
Ostrea hippopus (Lamarck, 1819)
Ostrea lamellosa (Brocchi, 1814)
Ostrea leonica (Fréminville, 1870)
Ostrea parasitica (W. Turton, 1819)
Ostrea rostrata (Gmelin, 1791)
Ostrea saxatilis (W. Turton, 1807)
Ostrea scaeva (Monterosato, 1915)
Ostrea striatum (da Costa, 1778)
Ostrea sublamellosa (Milaschewitsch, 1916)
Ostrea taurica (Siemaschko, 1847)
Ostrea taurica (Krynicki, 1837)
Ostrea vulgare (da Costa, 1778)
(Fonte: WoRMS)

Etimologia

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Ostrea deriva dal greco òstreon che vuol dire "ostrica" mentre edulis significa "commestibile".

Descrizione

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Conchiglia rotondeggiante, irregolare, con superficie rugosa, ricoperta di lamelle ondulate, inequivalve, la valva destra è piatta e squamosa, la valva sinistra, con la quale il mollusco è attaccato alla roccia, è invece concava. Dimensioni 7-12 centimetri di diametro ed oltre.

Da non confondere con Crassostrea gigas, l'ostrica concava, che come dice il nome comune ha le valve concave e allungate. Questa specie, nativa del Pacifico, negli ultimi anni ha soppiantato come produzione Ostrea edulis ed è la specie che più frequentemente si trova in commercio in quanto allevata in gran parte della Francia. Crassostrea gigas occupa da sola il 75% della produzione europea.

Nel Mediterraneo vivono numerose varianti locali[si tratta di varietà o di specie diverse?] come l'Ostrea tarantina, l'Ostrea adriatica, l'Ostrea tyrrena.

Biologia

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Sono ermafroditi proterandrici. Solitamente cambiano sesso due volte nel corso dell'anno. Le uova vengono mantenute nella cavità palleale dalla femmina, dove avviene la fecondazione. Gli zigoti e le larve vengono trattenuti per 8-10 giorni all'interno della cavità palleale, dopodiché rilasciate nella colonna d'acqua allo stadio di veliger. I veliger di Ostrea edulis attraverseranno una fase pelagica di 8-10 giorni prima di fissarsi ad un substrato.

Distribuzione e habitat

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L'ostrica vive attaccata sugli scogli litorali, da pochi metri a circa 50 di profondità, ove viene staccata, durante tutti i mesi dell'anno, specialmente in primavera ed estate. L'ostrica è comune ma in forte regressione nel Mar Mediterraneo, Oceano Atlantico e Mare del Nord[3].

Viene allevata (ostricoltura) in località prefisse come a Taranto, nel Fusaro, a La Spezia, a Rovigno e in Francia, lungo la costa della Normandia e della Bretagna e in Corsica nello stagno di Diana.

Proprietà organolettiche

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Ostrea edulis, a fronte di un bassissimo contenuto di grassi (circa 2%), offre una quota importante di proteine nobili e tutte e quattro le vitamine fondamentali (A,B,C,D). È inoltre una buona fonte di fosforo, calcio e magnesio, ma è l'abbondanza di zinco e ferro a rendere questo mollusco particolarmente interessante nel contrasto dell'anemia.

Inoltre bisogna citare le leggendarie proprietà afrodisiache del frutto, già conosciute nell'antichità, al punto che gli antichi Greci sostenevano che Afrodite (la Dea dell'Amore) fosse nata all'interno delle valve di un'ostrica.

 
Allevamento di ostriche ad Arcachon

Valore economico

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Molto apprezzate per via delle carni gustose, sono generalmente consumate crude.

L'allevamento delle ostriche è detta "ostricoltura" ed è una pratica redditizia sviluppata in buona parte del Mar Mediterraneo. Tra i primi ad avviare sistematicamente impianti di allevamento ci furono i Romani, i quali tra l'altro iniziarono ad importare ostriche del Nord Europa, in particolare dalla Manica e dalle coste della Britannia. La Francia è oggi tra i principali produttori mondiali di ostriche per uso alimentare.

L'ostrica tarantina

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Tra le 49 specie di ostriche esistenti nel Mar Mediterraneo, una menzione particolare merita l'ostrica tarantina, il cui nome scientifico è Ostrea Tarantina. L'allevamento delle ostriche tra il Mar Grande ed il Mar Piccolo di Taranto è difatti una pratica secolare, che per il tipo di produzione e di impianto differisce dal restante panorama mediterraneo.

Nonostante l'ostricoltura sia giunta a Taranto relativamente tardi (attorno al IV secolo dopo Cristo), in breve tempo gli ostricoltori tarantini seppero sviluppare una sofisticata ed ingegnosa tecnica ancora oggi utilizzata. Nei mesi di maggio e giugno si calano in Mar Grande a circa 30 metri di profondità delle fascine di lentisco, che vengono poi riprese dopo circa tre mesi. Su queste fascine si attaccano naturalmente delle piccole ostriche (dette in dialetto zippe) che, una volta tagliate dalle fascine di lentisco, vengono legate a delle corde vegetali (dette in dialetto zòche) e trasferite in Mar Piccolo, dove sono nuovamente immerse sott'acqua. Le centinaia di corde utili all'allevamento vengono fissate su pali di metallo (anticamente realizzati con legno di castagno della Valle d'Itria), che per la loro moltitudine creano ancora oggi i cosiddetti "giardini marini" di Taranto[4].

Una volta raccolte, le ostriche vengono solitamente consumate fresche, ma esiste anche una variante detta "alla tarantina" che prevede di ricoprire il frutto con pangrattato e prezzemolo, da passare poi al forno al fine di ottenere una doratura del mollusco[5].

Per capire l'importanza economica di questo allevamento bisogna considerare che, negli anni '20 del XX secolo, nel solo Mar Piccolo di Taranto si coltivavano annualmente tra le 35 e le 40 milioni di ostriche. Nello stesso periodo, il Governo Italiano inviò nella città pugliese alcuni studiosi e biologi marini col compito di valutare il potenziale produttivo del Mar Piccolo ai fini dell'ostricoltura. I risultati delle ricerche furono molto incoraggianti, in quanto si stimò una possibile produzione annuale di 70-80 milioni di ostriche. Tali numeri non furono tuttavia mai raggiunti, e anzi si è assistito nel corso degli anni ad un cospicuo ridimensionamento della produzione tarantina, anche a causa della sempre crescente competizione economica di altri paesi extra europei. In aggiunta, a partire dagli anni '60 del '900, la costruzione di idrovore necessarie allo stabilimento siderurgico Italsider (oggi Ilva), ha comportato una pesante alterazione del quantitativo planctonico nelle acque del Mar Piccolo, con conseguenti difficoltà degli ostricoltori nell'ottenere ostriche della giusta pezzatura ai fini commerciali.

  1. ^ (EN) Maxim Vinarski (2023), Ostrea edulis, in WoRMS (World Register of Marine Species).
  2. ^ Decreto Ministeriale n°19105 del 22 settembre 2017 - Denominazioni in lingua italiana delle specie ittiche di interesse commerciale, su politicheagricole.it.
  3. ^ Dan Saladino, Mangiare fino all'estinzione, cap. XX Ostrica piatta, 2023, trad.Giovanni Garbellini, Einaudi, ISBN 978 8806 25678 4
  4. ^ Lezione sulle ostriche tarantine, su lesciaje.it.
  5. ^ La ricetta delle ostriche alla tarantina, su buonissimo.it.

Bibliografia

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  • Egidio Trainito, Atlante di flora e fauna del Mediterraneo, 2004ª ed., Milano, Il Castello, 2004, ISBN 88-8039-395-2.
  • Egidio Trainito, Mauro Doneddu, Conchiglie del Mediterraneo, 2005ª ed., Milano, Il Castello, 2005, ISBN 88-8039-449-5.
  • Arturo Palombi, Mario Santarelli, Gli animali commestibili dei mari d'Italia, 1979ª ed., Milano, Hoepli, 1979, ISBN 88-203-0031-1.

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