Pubblicato nell’autunno del 1978, mentre ribollivano le polemiche sul caso Moro, e altre suscitandone, a distanza di cinque anni questo libro potrebbe anche esser letto come «opera letteraria». Ma l’autore – come membro della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla «affaire» – ha continuato a viverlo come «opera di verità» e perciò lo si ripubblica (non più col rischio delle polemiche, ma del silenzio) con l’aggiunta della relazione di minoranza (di assoluta minoranza) presentata in Commissione e al Parlamento. Una relazione che l’autore ha voluto al possibile stringare, nella speranza che abbia la sorte di esser largamente letta: qual di solito non hanno le voluminosissime relazioni che vengono fuori dalle inchieste parlamentari.
I’ve long been a fan of Leonardo Sciascia’s detective stories and novels. See my reviews for most of the following: Equal Danger, To Each His Own, Sicilian Uncles, The Wine-Dark Sea, The Day of the Owl, Open Doors and Three Novellas. I’ve been eyeing this Moro book for years. Like many of you, my backlist is always too long. But recently a long out-of-print title, The Council of Egypt, was republished in UK by Head of Zeus, so all my old admiration was out again and I felt it so freshly that I finally made the plunge. I had read something about the period in Elena Ferrante’s fiction. And in there, somewhere, she mentions Moro and Sciascia. Ferrante’s novels also gave me a grounding in Italian society that I did not have before: attitudes toward women, mostly, but also a sense of the landscape, crime, politics—always inextricably entwined—and way of life in the Italian academy, upper middle class, and leftist culture generally.
The Moro Affair is about a political assassination by Italian terrorists known as the Red Brigade who were inspired by that grand master of genocide, Stalin. Aldo Moro was for thirty years a politician. He was at the fore of much of post-war Italy’s government which Sciascia, like Ferrante, considers hopelessly corrupt and contemptible. Sciascia’s far more interested in Moro’s history and that of the Christian Democrat Party, which he virtually headed. Moro, captured by the vile Red Brigade, was held for weeks in captivity, in a place they called the “People’s Prison,” and allowed during this period to write some 40 letters to friends, family and political associates, many of which were contemporaneously published. Many of these are quoted in part or in full here. The book has an intellectual density and brutality of logic that reminds me of the best nonfiction of V.S. Naipaul, especially Among the Believers: An Islamic Journey and its companion volume.
Moro’s letters from captivity, especially when he realizes that the Italian State is going to sacrifice him, are riveting. His own party has decided not to negotiate with terrorists. It’s a stunning historical moment. It is Senator Taviani, Moro’s colleague in the Christian Democrat Party, whom he accuses of being a pawn of American and German interests, whose negative attitude toward negotiation with terrorists Moro sees as being foremost. The party’s reply is all too typical: This is not the Aldo Moro we know, it says, suggesting that he has been turned by the Red Brigades. But Sciascia is here to argue convincingly that Moro had not been so turned. The essay closes with a blistering condemnation of the police and carabinieri whose incompetence looks too incompetent. That is, as Sciascia points out, there was a profusion of leads which could have led to where Moro was being held captive, in the so-called People’s Prison, but there was a complete failure to recognize them and follow up. There are Keystone Cops shorts stronger on procedural logic than was brought to bear on the Moro Affair. Meanwhile, Sciascia thinks the whole Red Brigades operation concerning Moro to be the most efficient demonstration of Italian logistics to date. Nothing else in Italian life quite prepares one, he suggests, for the precise timing and seamless operation of the Red Brigades.
The second piece here is about the disappearance of the brilliant Italian physicist, Ettore Majorana, during the Fascist years. Like its fellow, it speculates on some of the unsolved mysteries of its subject. As a piece of writing I enjoyed it perhaps more than the title essay. Both are good but only the latter reaches the level of polish found in the author’s fiction.
Come commento al breve saggio di Sciascia scritto nel 1978, a pochi mesi di distanza dai fatti, voglio riportare un passo estrapolato da un articolo di giornale di questi giorni, un dossier sui 55 giorni di prigionia dell’on. Moro scritto da Miguel Gotor per Il fatto quotidiano. “….in una vicenda in cui, come ha scritto Piecznick nel suo libro di memorie, “mai l’espressione ragion di Stato ha avuto più senso come durante il rapimento Moro in Italia.” Un senso così profondo da diventare opaco come la lastra di ghiaccio del vero lago della Duchessa e vischioso come il falso comunicato (sul corpo dell’on. Moro da cercare in detto lago, preciso), perché se lo Stato è storicamente debole, diviso in fazioni e in crisi di autorevolezza e di fiducia pubblica come in Italia, quando viene messo sotto attacco si irrigidisce alla maniera di un paralitico fino a ridurre le sue ragioni, vere o presunte, insieme con le furbizie e le meschinità, in una grigia poltiglia intrisa di Statolatria. Se un giorno dovessi spiegare a mio figlio con un’immagine cosa è la Statolatria gli mostrerei la foto dei sommozzatori che si immergono diligenti nel buco di ghiaccio del Lago della Duchessa, al fondo del quale non avrebbero trovato il corpo di Moro, ma riflessa la storia della sua morte, l’effetto di quella Statolatria di cui egli fu vittima.” Se Sciascia fosse vivo, annuirebbe alla lettura di queste parole.
Un'avventura letteraria prima ancora che storica nell'Italia di fine anni '70. La qualita' della scrittura e la sottigliezza quasi feroce dell'analisi dei fatti e del pensiero del rapito Aldo Moro aprono scenari che verranno avvalorati dalla storiografia di anni e anni dopo. Ma questo libro scritto a caldo, quasi subito dopo il rapimento del presidente della DC, e' soprattutto una "autopsia" dello spirito e delle riflessioni di Moro. Una dissezione filologica di una cultura, quella della DC ancora imperante, che si illudeva, sacrificando uno dei suoi campioni, di uscirne indenne.
La tesi di fondo Leonardo Sciascia è molto semplice: come è possibile che nel paese delle eccezioni, degli accomodamenti, degli strappi alla regola, improvvisamente un'intera classe politica riscopra una fermezza e un senso dello stato mai visti prima (né dopo), proprio in occasione del rapimento di un personaggio molto scomodo, addirittura pericoloso per alcuni? Ancora più spaventosa è l'analisi dell'intima natura della Democrazia Cristiana, capace di rafforzarsi persino in virtù dei propri oppositori e di piegare qualunque cosa al proprio immobilismo trasformista. Per dirlo con le parole di Vittorio Foa, "la capacità di permeare di sé anche gli avversari assumendone in parte la rappresentanza". A tal proposito è eccezionale il paragone letterario tra Moro e il generale Kutuzov di Guerra e pace. Chiudo citando uno degli interventi più acuti sulla vicenda Moro e il terrorismo in generale, Riflessioni ad alta voce su terrorismo e potere di Piergiorgio Bellocchio, pubblicato nell'Aprile del 1980 sulla rivista Quaderni piacentini. È un j'accuse di diverse pagine che meriterebbe di essere letto per intero; questo è uno dei passaggi chiave: "La disponibilità a trattare è sempre un segno di forza, proprio perché non teme di mettere in discussione la propria autorità. [...] Uno stato forte tratta, subisce una sconfitta tattica, sicuro che a breve si prenderà la rivincita. Uno stato non forte ma decente, sufficientemente onesto, cede al ricatto, salva una vita, sicuro di non perdere la faccia, così come un galantuomo, se necessario, può sempre venire a patti con un delinquente senza temere di sporcarsi. Uno stato criminalmente debole e vergognosamente criminale, che è la causa prima e il principale colpevole del guaio che gli capita, che può mai fare? Non farà nulla. E chiamerà questo 'fermezza'".
Del caso in se non penso di dover dire nulla, lo conosciamo tutti chi perch l’ha studiato chi perché l’ha vissuto chi perché l’ha sentito raccontare in famiglia. Un capitolo nero della nostra Italia questo è poco ma sicuro.
L’opera di Sciascia è un’analisi lucida delle lettere di Moro durante il suo rapimento. Colpisce come sempre la naturalezza della scrittura velata dalla sottile ironia drammatica, tipica di Sciascia. Mi sono piaciuti moltissimo anche i vari riferimenti ad opere letterarie e autori cari allo scrittore. Molto consigliato. Spero lo facciano leggere nelle scuole?
Qualche segno del tempo, ma la prova eterna che lo scrittore era Moro senza filtri e subornazione vale l'acquisto e la lettura.
Dispiace che interrompa l'agiografia ma purtroppo il mite presidente del consiglio, professore amato, costruttore inesausto di alleanze e trame così fini da tendersi sotto il solo peso dell'idea, ma delle quali si vantava, non aveva pure capito nulla: dell'alleato USA che lo scaricò, dell'Italia che dubitò, della DC che si spaccò, dei suoi alleati che sparirono e avversari che ne approfittarono, e delle BR che trucidandolo iniziarono da qui la sconfitta.
Se ne rese conto e pagò. Fortunatamente per noi Sciascia era già più avanti e poté spiegare.
Sciascia analizza con il suo spirito di raffinato investigatore del crimine e da profondo conoscitore della società italiana dell'epoca il rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse avvenuto nel 1978. Rilegge le lettere che il Presidente della Democrazia Cristiana scrisse dalla cosiddetta "Prigione del popolo", nome del covo dove Moro sarà tenuto prigioniero per 58 giorni. Sono lettere indirizzate a personalità politiche, ad amici, alla famiglia intesa nel senso più ampio: congiunti di sangue ma anche alla famiglia rappresentata dal suo stesso Partito. Ne emerge un uomo stanco, deluso, solo, quasi annoiato, vinto, come mostra quella foto che fece il giro del mondo con alle spalle la stella rossa, il capo leggermente reclinato, la bocca storta, guardatela, dice più di tante parole. Un uomo che implora paradossalmente la clemenza a quell'establishment che invece ratificherà la sua condanna in nome di una ragione di stato che farà suo punto di onore e di forza rifiutare il ricatto di un onorevole per 13 brigatisti di ben poca rilevanza anche per il movimento stesso. È un ricatto pretesto che adombra, da parte delle delle Brigate Rosse, la volontà di recidere all'origine il nascente compromesso storico tra DC e PCI, l'avvicinarsi del PCI alle istituzioni. Moro condannato a morte direttamente dalle Brigate Rosse ma indirettamente dalla Democrazia Cristiana, dal governo, dagli "amici" che non muoveranno un dito. Scriverà Aldo Moro: In questo modo stare reintroducendo la pena di morte nella Costituzione della Repubblica
Sono lettere che sottendono un non detto che Leonardo Sciascia si prende la briga di crittografare senza fermarsi alla banale e diffusa lettura di Aldo Moro, lo statista, il puro sangue della Dc trasformato in un uomo che ha solo paura di morire e che scrive sotto la dettatura dei suoi sequestratori
Tutto L’affaire è dunque un complicato palinsesto da decifrare, tradurre, rileggere e riscrivere con la scienza e l’arte della parola
L'affaire Moro venne letta come opera letteraria ma per Sciascia che la scrisse a caldo, prima dei dibattimenti, delle analisi, delle testimonianze, dei processi, della Commissione Parlamentare che verrà anni dopo, rappresentò un'opera di assoluta verità che ratificò ancora una volta la sua posizione di uomo e scrittore scomodo.
Perché il 2021 non è solo l'anno Dantesco ma è anche il centenario della nascita di Leonardo Sciascia.
Affare, caso politico, pasticciaccio avrebbe detto qualcuno, difficile comunque essere così lucidi dopo appena tre mesi dagli eventi. Sarà stato il ritorno delle lucciole a illuminare Sciascia in quel di Racalmuto nell'agosto del '78? Far riaffiorare alla memoria il labirintico Borges e lo spietato analista Pasolini ha concorso sicuramente a creare la giusta cornice per questa altrettanto lucida analisi: degli eventi, dei comportamenti ma soprattutto delle parole dette nel non detto di questo lurido affaraccio. Analizzare le parole delle lettere di Moro, soprattutto, permette a Sciascia di capirne il significato più profondo, l'unico possibile, quello che rimanda alla famiglia traditrice, alla famiglia silente, alla famiglia che disconosce Beccaria, la Costituzione, il valore della lealtà. Laddove famiglia significa solo DC. Emerge la tragicità della figura di un uomo, elevato dal rango di studioso a quello di politico per giungere all'apoteosi sacrificale del grande statista consegnato all'opinione pubblica dai mass media che altro non fanno che riflettere senza alcun filtro l'idea di un uomo che l'assenza di potere ha immolato all'altare del potere. Il problema di fondo rimane: chi esercita il potere in Italia? Politici, brigatisti, mafia? A voi la scelta.
Confesso di aver iniziato a fatica la lettura, ma aggiungo di essere poi stata presa molto presto, al punto da arrivare a desiderarla, per procedere senza interruzione fino all'ultima pagina. Il caso è noto; per la mia generazione è anche vissuto, sia dal punto di vista politico che umano, e può rappresentare un ricordo personale, in un momento preciso. Ma queste pagine lo ripropongono in maniera chiara e oggettiva, sintetica e pulita. E non si avverte che siano state scritte …a caldo, appena due mesi dopo il fatto! E' straordinaria la capacità di Sciascia di proporre un resoconto lucido e intelligente, confermando qualità già riscontrate in altri suoi scritti. Illuminante poi, nella sconvolgente semplicità, la seconda parte, La relazione parlamentare, dalla quale Sciascia lascia invece trasparire i "punti deboli" dell’ Affaire, in una "parata" protratta per cinquantacinque giorni, e che mi ha ricordato, per alcuni particolari, La cosa semplice. Formidabile l'acuta ironia conclusiva di alcune sue allusioni, la stessa ironia che l'autore attribuisce a certe frasi delle lettere di Moro: Un'ironia che viene da lontano: e ora amara e dolorosa.
[Scrissi un giorno lontano di là. Stranissimo, ma non troppo, che quello considerato un classico, una pietra miliare e magari il capolavoro di Sciascia, mi abbia dato tanti problemi. Il primo dei quali è il perché della fregola di recensire su anobii, di soggiacere all’esibizionismo dello scrittore mancato che calcola, sul numero di pollici in su, la propria bravura, come nei temini alle elementari. Bravura di che? mi sono chiesta, specie dopo aver letto qualche recensione di natura promozionale, di quelle che ti fanno venire voglia di leggere/rileggere il libro e non per la bellezza della recensione, ma di quella del libro stesso. Logicamente mi sono arresa alla mia, alla fine, innocua pulsione e, come al solito mio, ho sottolineato, preso appunti, cercato altre fonti comprese le "Lettere della prigionia" dello storico Gotor, tenendomi a distanza di sicurezza da Sciascia, dal testo e dalla storia in sé. Tre giorni a riflettere e scribacchiare a vuoto mi sono sembrati troppi. Era impossibile, però, attenermi agli schemi del lettore neutro. Quei cinquantacinque giorni di prigionia sono ancora talmente vivi nella mia mente che è assolutamente impossibile mantenere le distanze senza mischiare i ricordi, le sensazioni, le riflessioni e le conseguenze dell’impresa “rivoluzionaria”. A tutto questo si aggiunga l’amaro in bocca per l’ingloriosa fine di uno scrittore, che di glorie ne aveva avuto, dopo aver attaccato ignobilmente Borsellino e l’infelicissima frase sui “professionisti dell’antimafia”, voce dal sen fuggita, che tutte le contestualizzazioni, fatte dallo scrittore ormai deputato dei radicali, non hanno potuto spogliare della crudezza e del fiele che sputavano. Come uscirne e acchiappare almeno un due pollici in su? Lasciar perdere il contesto e in definitiva godermi Sciascia, "quel maestro elementare di Racalmuto che scrive in maniera impressionante" come diceva Italo Calvino, è stata la soluzione. ]
Già, perché "L’affaire Moro" non è un libro di storia né una cronaca attenta ai fatti di allora, ma una cronaca addirittura distopica senza aggiungere nessun tassello all’idea che mi ero fatta di quei fatti. L’Affaire è giocato tutto sulla “furberia delle parole”, di manzoniana memoria (una recensione sì e una no, ci infilo la memoria del Manzoni, non vogliatemene!), furberia da parte di Sciascia che si rispecchia in quella delle parole di Moro e in quella dei comunicati Br. Il bellissimo incipit sulla ricomparsa delle lucciole (che segna la fine del periodo di transizione della politica della D.C. in Italia, il cui inizio Pasolini aveva fatto risalire al tempo della scomparsa delle suddette nel primo dopoguerra), è metafora della fine del periodo di transizione dentro cui i notabili della D.C. avevano adottato un linguaggio incomprensibile: il più incomprensibile di tutti del meno implicato con il potere: Aldo Moro che per questo viene sacrificato. Sciascia parla di legge del contrappasso: chi di lingua ferisce di lingua perisce. Il criptico linguaggio di Moro, usato per la copertura a tante porcherie democristiane, paradossalmente offre nelle lettere dal carcere l’alibi ai suoi “vecchi amici” di non capirne il vero messaggio , (che Sciascia invece “letterariamente” decripta), per bollarlo come irriconoscibile e inaffidabile, e continuarsi a fare i fatti propri fino al fatidico ’92.
Sciascia, non sospettabile di simpatie democristiane, trasforma Moro nel Giulio Cesare di Shakespeare, colui che, indipendentemente dalle colpe, deve essere sacrificato in nome del potere. Potere odiato dalle B.R. e concupito da Andreotti &C. Non a caso, dice Sciascia, nelle lettere Moro adombra la ricomparsa del suo fantasma senza usare mai la parola, però. Contemporaneamente i giornali, invece che il nome “Moro”, cominciano a scrivere “lo Statista” e Sciascia capisce che la sua condanna è segnata: “Statista” è l’epitaffio e la corona di fiori sulla sua tomba .
È chiaro che lo scrittore non sia un sostenitore del “Scherza con i fanti ma lascia stare i santi” e il suo fine non sia la beatificazione ma insista sulla umanità di Moro di fronte alla morte: umanissimo istinto di conservazione espresso dal mutamento di registro linguistico che da criptico muta in quello quotidiano e allusivo senza, per questo, guadagnare in chiarezza. Come se lui, Sciascia, volesse esercitare solo il mestiere di filologo cognitivo e cavare fuori l’uomo Moro dalle lettere dal carcere, a lui perfettamente sconosciuto fino a quel momento. Personalmente l’operazione non mi convince e, al di là della pietà umana, quel suo scendere a patti e chiedere salva la vita ai compagnucci di merenda in nome di ragion di stato non mi sembra un atto umano, ma piuttosto un voler riscuotere il dovuto ristoro della loro riconoscenza. Tutto immortalato nel suo linguaggio. Se il valore di questo epistolario è nell’antieroismo di quest’uomo, nella sua normalità, ciò non mi fa dimenticare, infatti, come avesse messo la sua integrità a servizio degli sporchi giochini di potere, Piazza Fontana in primis. Prima di essere delinquenti, si è uomini. In definitiva, in quello che Gotor rimprovera a Sciascia, sta proprio la forza del libro: l’aver colto, nella condizione tragica e coatta di Moro prigioniero, un paradossale stato di libertà espressiva (nel dire col non dire) basata su un’estetica letteraria che, però, l’ha consegnato nelle mani dei suoi veri nemici: la famiglia democristiana a cui Sciascia crede si riferisse Moro ogniqualvolta usava la “sacra parola”: FAMIGLIA. Loro capivano benissimo quello che Moro scriveva ma fingevano che l’uomo delle lettere non fosse più lui. P.S. Quel 15 Marzo 1978, stavo preparandomi per andare all’istituto di Medicina interna, dove ero specializzanda. Dopo pochi secondi di sgomento per le conseguenze di quel rapimento e per i morti lasciati lasciati a via Fani, fui presa dall’esaltazione per l’impresa, stessa esaltazione per l’abbattimento delle torri gemelle. Spero di non esultare più, perché l’abbattimento dei simboli non è altro che il presagio di tempi nerissimi!
“Le Br sono italiane ma funzionano perfettamente”.
Di fronte allo stupefatto Aladino, apparve un enorme genio che disse: - Sono il genio della lampada, cosa ordini padrone? Se esistesse un genio della lampada letteraria e mi ponesse la stessa domanda, non avrei esitazioni. Tra i tanti autori che amo, potendo riaverne uno solo, chiederei: Riportami indietro Leonardo Sciascia. Farebbe un dono a me e a tutta l'umanità.
Un'opera lucida e ben fatta. Sciascia analizza con cura le lettere di Moro, ne ricava suggerimenti, congetture affatto improbabili, è attento, preciso. Incredibile che questo libro sia uscito subito dopo la morte di Moro: pare un'analisi fatta con il senno dato dal tempo e dalla conseguente distanza messa tra il fatto e il clamore che suscitò. Ovviamente, lo consiglio a chi è interessato a comprendere l'attualità sociale e politica, chi è attento a questi temi.
10/07/2021 (*****) Racconto perfetto del più celebre e clamoroso fatto politico avvenuto in Italia nel dopoguerra che, oltre e al di là della nota bravura narrativa dell'autore, si distingue per apparire, e essere, serpentinamente inquietante.
Direi che l'impressione che mi ha più accompagnato nella lettura è stata proprio questa: una inquietudine strisciante sul fondo delle pagine, una sorta di visualizzazione in filigrana di un mostro informe che perennemente appare in tutta la storia italiana del Novecento, soprattutto nelle svolte, e altrettano rapidamente scompare.
Che la storia patria del secolo XX sia un grande enigma, ricchissimo di fatti e misfatti scoperchi o più spesso occulti come in nessun altro paese al mondo, non lo si scopre adesso. Il delitto Moro fu semplicemente, insieme a alcune delle più orrendi stragi rosse e/o nere degli anni Settanta e Ottanta, la punta dell'iceberg di un qualcosa di mostruoso e inconcepibile che è sempre rimasto sotto la superficie. Quasi invisibile. Un pò come uno squalo bianco, di cui ogni tanto vedi la pinna dorsale. Di solito, quando è troppo tardi.
La colpa dell'Italia è di aver perso, in maniera disastrosa, la II guerra mondiale. Da lì, il paese è stato un campo di battaglia di una guerra in larga parte invisibile fra i due blocchi, e campo esclusivo d'interesse delle due potenze occidentali che la guerra l'avevano vinta (sul ruolo della GB nella storia italiana del Novecento, ci sarebbe da dire molto più di quanto la storia ufficiale abbia lasciato intendere). Un paese a sovranità limitata. Fatichiamo ancora adesso a concepire questa semplice e inoppugnabile verità, nonostante sia lapalissiana.
Che Moro abbia pagato con quella agonia il ruolo fondamentale avuto nella distensione con il PCI e nel suo consequenziale e logico risultato, ossia il compromesso storico, è ormai indubitabile. L'intelligenza di Sciascia fu di averlo capito subito, nei giorni e nei mesi immediatamente successivi agli eventi. Il libro è infatti una denuncia all'incredibile fermezza scelta dalla DC in quei frangenti: il partito più viscidamente rotondo (nel senso gaberiano - vedi Io se fossi Dio) della storia patria, il meno fermo e il meno intransigente, che si rifiutò in maniera irremovibile di trattare uno scambio di prigionieri con le BR, nonostante Moro stesso nelle sue tremende lettere dal carcere avesse insistito per 50 giorni sul tema.
La risposta della Democrazia Cristiana fu l'immobilismo, e il disconoscimento assoluto di quanto Moro scrivesse in quelle lettere; di più, il disconoscimento totale del Moro prigioniero, visto e raccontato da tutti i media del tempo come qualcos'altro, un alieno, una persona irriconoscibile e obnubilata.
Questa è in fondo la cosa che mi ha più inquietato, ossia il modo con cui i media del tempo, proni ai due partiti di riferimento di quell'epoca, trasfigurarono Aldo Moro e i suoi scritti dalla prigionia in qualcosa di non credibile né ascoltabile, trasformando lentamente il politico riverito del giorno prima in monumento (in "statista", come dice Sciascia), in epitaffio vivente, stabilendo in maniera spaventosamente subdola e cinica la sua morte relegandolo, in vita, a simbolo. E si sa qual è sempre stato il ruolo dei simboli nelle società.
L'immobilismo (e il suo contrario, ovvero il dinamismo caotico ma ben visibile delle forze dell'ordine) sancirono, dietro il muro della ragion di Stato, che Moro era sacrificabile, che si considerava ormai già morto il mansueto democristiano di prima e non si gradiva il polemico e disperato uomo delle lettere dalla prigionia (e, soprattutto, le devastanti critiche che egli rivolgeva al suo partito e ai suoi notabili). Tutto questo agghiacciante teatrino venne certamente diretto da più mani straniere, a cui l'apertura a sinistra della DC non era per nulla piaciuta. Moro, certamente uomo di potere anche se il meno implicato fra tutti, pagò per tutta la DC colpe che erano sue solo indirettamente. In prigionia, aveva probabilmente capito da dove fosse partito il colpo che si sarebbe concluso con il suo inevitabile sacrificio: Sciascia lo lascia intendere analizzando i suoi scritti. Pur usando il tortuoso linguaggio politico democristiano del tempo, nelle lettere di Moro molto viene lasciato intendere (e, va ricordato, soltanto una parte della corrispondenza è stata resa pubblica), anche per indicare i mandanti e le possibili soluzioni.
Un mezzo capolavoro di cronaca storica e giornalistica, reso in forma letteraria sopraffina da un uomo di grande intelligenza, cultura, moralità.
Penso che se si vuole capire questo paese e le sue storture, anche oggi, uno dei capisaldi da cui occorra obbligatoriamente partire sia proprio questo libro.
Sciascia mi appare ancora una volta lucido, arguto, onesto. Il caso Moro è una pagina imprescindibile della storia dell'Italia moderna, che non ho vissuto in prima persona né affrontato (se non di sfuggita) al liceo, e quindi conoscevo solo sommariamente. Questa lettura, che sentivo necessaria, è stata davvero degna di nota. Ma non mi aspettavo nulla di meno da Sciascia.
I do declare, noting that Cesare Battisti has been captured and will be brought to what the Italians loosely term 'justice' after 37 years evading it, that it must be fitting to read this book now.
The affair in question was the kidnapping of Moro in 1978. The Red Brigade tried him, in their own fashion, and sentenced him to death. Although they then offered a trade, thirteen of theirs in exchange, the ruling Christian Democrats refused. Actually, even the Pope refused. It must have been truly shocking for Moro to realise that his colleagues and friends, not to mention the head of the Church, had no intention of trying to save him.
And it shocked Sciascia: hence the book. In main part it looks at the letters Moro sent to his family, his colleagues, the Press and the Pope during the two months he was kept alive. And it examines them in a literary way, searching for clues in a way perhaps only Sciascia could. He brings in Borges, Cervantes, and Pirandello amongst others. He believed that Moro must have hidden hints as to his whereabouts in these letters. He talks of the incompetence of the police and the unChristian-like behaviour of the ruling party.
He talks of the indirect way Moro had of talking and how this played out. And I couldn't help wondering if Sciascia was himself writing like Moro in this regard. I knew nothing of the story other than what I read in these pages. But it felt obvious to me from the start that the whoever was running the Christian Democrats was probably quite happy with how things were going. Not to mention it explained the way in which the police set about the task of finding him - or as seems actually to have been the case, set about the task of looking like they were trying to find him.
At one point in the letters he sent, Moro asks if his betrayal is actually something decided by the Americans. Since then, it transpires that yes, this is the case.
L'ho preso e posato tante volte in questi due mesi, attratta da altri titoli e altri argomenti. Certo, l'inizio complesso non aiuta, non posso dire sia stato amore a prima vista. Ma è uno di quei libri che deve essere letto: in fondo è breve, la cronaca è pulita e priva di ghirigori o di quel tifo da stadio che sembra accompagnare ogni notizia odierna.
I am almost done the first of the two short books within this volume--this is an incredible book! Schiasia examines the events of the Moro kindapping and eventual execuation through the letters written by Moro, which newspapers they appeared in, various documents of the actual moments--from the dialy media of the time (1978). What he is doing is examing not the hisotry per se of the vents, but their written documents as literture within history. The book becomes a fascinating exploration of writing in relation to the presentation of events of something "already written". What the Moro affair does is reveal what had been kept hidden in the public face of Italian politics of the time. One of the most explosive lines in the book is a quote from Moro in aletter to his wife, which appeared only at the time of the execution, andonly in a very obscure and overlooked newspaper. Moro says that what is hapening to him is "slughter by the State", for what the Moro affiars reveals to him and to his captoirs, and to the readers of this book, is that Moro is better off dead TO HIS OWN FRIENDS. They WANT him dead--not the people who are holdng him hostage--they (the Italian Red Brigade) want to exchange him for prisoners. But now itis too late--they are cuaght in the unstoppable turning gears of Fate meshing into place to keep the corrupt and despotic government of Andreotti n plave, rtaher than the "historic compromise" government of Communists and Christain Democrats sharing power that Moro had envisisoned. A very intersting and paradoxical aspect of this book is to follow Schiasia as he traces the arc of his total disgust and near hatred for Moro begin to develop for a sort of empathy whithin the conext of his being condemend not by his executioners, but by hislifelong friends and allies.
The second book is about the disapprance of Italy's most promsing physicist during the Dascist era--at a point when Italy most needed him. Supposedly a suicide--yet the body was never found. Schiasia n the little i read in this so far is acomplishing a tour de force of investigation at both the historical and literary levels. If you are interested in the ways one may study literatuyre as a form of archeolgocal method of understanding history--this volume is a must rea, a masterpiece. It's the first book by Schiasisa i have read but now plan to red many more!
Sono nata nei giorni del rapimento Moro. Nel corso degli anni mi sono ritrovata spesso a pensare a questa casualità, allo stridere tra il lieto evento nascita ed il momento drammatico che l'Italia si trovava a vivere. Tutto ciò che ho appreso era già racchiuso in questo volume, scritto a ridosso degli avvenimenti, illuminato dell'intelligenza di quest'uomo, Sciascia, del quale non mi stancherò mai.
Two Real Life Mysteries Review of the NYRB Classics English language paperback (2004) translated from the Italian originals L'affaire Moro (The Moro Affair) (1978/rev.1983) & La scomparsa di Majorana (The Disappearance of Majorana) (1975)
The Moro Affair is likely the better known of these two cases and was the March 1978 kidnapping of Italian politician Aldo Moro by the Red Brigades terrorist group, resulting in his death after 55 days. The Mystery of Majorana (as the title is given in the NYRB translation) was the disappearance by apparent overboard suicide of genius physicist Ettore Majorana (1906-1938 (presumed)) while on a ferry boat journey from Palermo to Naples.
The mystery element of The Moro Affair is why his own ruling party, the Christian Democrats, abandoned Moro to his fate and how much of the police investigation was bungled in order to avoid saving him. The otherwise ruthless Red Brigades (who apparently account for 75 murders in their time of activity according to Wikipedia) obviously kept him alive with some apparent hope of negotiations and "prisoner of war" trade. What is most surprising here is the amount of correspondence (some of which may have had hidden clues which the Red Brigrade censors overlooked) that Moro was allowed to send during his time of captivity, almost all of which is reproduced by Sciascia. In the beginning he is hopeful of a resolution, in the end he is condemning his own party for turning away from him. Overall, this is very inside baseball about Italian politics at the time, but perhaps not about the cutthroat world of politics in general.
The Mystery of Majorana attempts to provide an alternate solution to the physicist's disappearance by proposing that he was actually planning to disappear in order to avoid working on an atomic bomb for the then ruling fascist party of Italy and its allies in Nazi Germany. Sciascia's evidence is actually quite compelling including the vague wording of Majorana's letters to his family, his withdrawal of all his money from the bank prior to departure and perhaps even a sighting in a Cartusian Monastery in later years. This was the more intriguing part of this double real-life mysteries translation, although it is only about 1/3rd of the book and isn't even entitled to cover billing.
El famoso caso Moro: el caso que sacudió la Italia de los años de plomo.
El secuestro de Moro, que estuvo 55 días retenido hasta su asesinato.
Muy interesante, pero echo en falta un glosario o información actualizada en la edición para el lector no italiano, ya que da por hecho que conocemos datos y hechos sobre el caso.
Bel saggio di Leonardo Sciascia che mi ha fatto tornare alla memoria gli anni del rapimento ed omicidio di Aldo Moro, con il clima pesante che si respirava in Italia e lo spettacolo dell’inutile spiegamento di forze a cui assistetti durante una gita scolastica da liceale: postazioni militari con sacchetti di sabbia ai caselli autostradali, posti di blocco dappertutto ed addirittura la perquisizione del mio pullman con noi studenti increduli davanti a quella esibizione di uno Stato impotente ed inadempiente.
Le analisi delle lettere, e delle conseguenti reazioni dei compagni di partito e non, sono state una interessante scoperta come anche la relazione di minoranza presentata da Sciascia alcuni anni dopo: una lucida analisi di quello che fu uno degli episodi più terribili e misteriosi di quei famigerati “anni di piombo”, mettendo in risalto le incredibili zone d’ombra ed i buchi nelle indagini.
Una ricostruzione attenta scritta a ridosso del caso Moro, con uno Sciascia impegnato a leggere fra le pieghe del linguaggio (le lettere di Moro, i comunicati dei brigatisti) e molto critico nei confronti dello Stato. Un tassello importante dell'opera di Sciascia.
Affascinante e spietato commento di Sciascia sull'affaire Moro, cioè più che sul sequesto del poltico sulle reazioni della Politica alla vicenda e alle lettere che dalla sua prigionia il presidente della DC scriveva.
Una vicenda di cui conoscevo pochssimo e a grandi linee. La lettura di questo libro è sconvolgente e mi ha fatto realizzare tutta una serie di cose che fino ad ora - ironicamente, visto che ho fatto la maturità proprio in occasione del trentennale - non avevo avuto modo di cogliere.
Forse se avessi conosciuto meglio la vicenda l'avrei trovato meno interessante e l'avrei considerato più come "l'opinione di Sciascia", così è stato interessante anche dal punto di vista "storico".
“L’Affaire Moro”, una grandiosa indagine letteraria che affronta il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro. Ciò nonostante, l’opera non si limita a essere un documento storico, ma anche uno spunto che invita il lettore a riflettere sull’importanza della verità e della memoria collettiva. In tal senso, è strabiliante Sciascia nel saper conciliare il rigore dell’indagine storica con la forza della narrazione letteraria: lo scrittore riesce a mutare un evento di cronaca nera in un’ampia e profonda riflessione sulle dinamiche del potere e della giustizia.
Letto quasi tutto, tranne le ultime 10 pagine, quasi un anno fa, e adesso ci sono tornata per concludere questo libro che è un’impeccabile analisi di eventi. Come avevo già avuto modo di constatare con La Sicilia di Pirandello e La scomparsa di Majorana, lo stile così raffinato, acuto e preciso di Sciascia va a diluirsi nell’invenzione narrativa, ma rimane purissimo quando c’è da raccontare e soprattutto rielaborare e romanzare una storia.
“Io non desidero intorno a me, lo ripeto, gli uomini del potere. Voglio vicino a me coloro che mi hanno amato davvero e continueranno ad amarmi e pregare per me. Se tutto questo è deciso, sia fatta la volontà di Dio. Ma nessun responsabile si nasconda dietro l'adempimento di un presunto dovere.”
Ci sono grandi scrittori di gialli tipo Christie in cui il contesto storico-sociale è presente, ma per caratterizzare i personaggi, per dargli una ragione, un motivo per essere in scena. Sciascia nei suoi "gialli" parte dal contesto sociale e ambientale, che alla fine, anche se non ne esce protagonista, è più di uno sfondo/cornice. Ecco, Sciascia analizza minuziosamente, ogni lettera, ogni frase di Moro per cercare di dare un senso a quelli che sono definiti dei semplici deliri. E ci riesce pure Peccato sia morto nel 89 e non abbia potuto mettersi la a ragionare qualcosa sui vari processi stato-mafia deglia anni 90
Nonostante le difficoltà iniziali (dovute assolutamente alla mia conoscenza molto superficiale sia del contesto storico-politico sia dei riferimenti letterari che Sciascia sgrana come perle) è stata una lettura potente e illuminante, non tanto per i testi delle lettere scritte da Moro durante la sua prigionia, quanto per la minuziosa analisi che ne fa lo stesso Sciascia con quella sua sottile e intelligente ironia che tanto amo in questo autore. La relazione di minoranza presentata da Sciascia alla Commissione Parlamentare d'inchiesta è un pugno nello stomaco, non perché sorprendente ma perché inanella fatti e accadimenti in maniera talmente poco fumosa che non lascia spazio a dubbi o fraintendimenti. Consigliatissimo
Non finisco di leggere questo libro e già penso: lo hanno scientemente, consapevolmente, strategicamente ammazzato, fatto ammazzare dalle BR. Ora, non saprei commentare adeguatamente nulla in generale e il contenuto di questo scritto in particolare. Nel 1978 ero alle prese con i miei problemi di bimba rientrata in seno alla famiglia, ero cleptomane, paciocca, sorridente e imparavo a rimuovere. Per quelle come me, scevre da ogni ideologia o simpatia politica occorrono libri e documenti , ma ‘questo’ Sciascia va letto con attenzione perché scritto nel 1978, sull'onda emotiva di quei 55 giorni, con il Paese in piena crisi, costernato e impaurito. Sciascia scrive, riporta le lettere di Moro a Cossiga, a Zaccagnini, alla ‘sua’ DC, alla famiglia. Inizialmente, anche il partito viene considerato ‘famiglia’. Queste lettere contengono il suo forte desiderio di vivere e il timore della morte, did ‘quella’ morte. Non si cedette al ricatto, i suoi ‘compagni’ disconobbero Moro politico, considerandolo solo un uomo rapito, ‘costretto’ dai suoi carceriere a scrivere e pensare ciò che scrisse e pensò: la fine della DC. L’ho detta brutalmente, certo, col senno di oggi, me ne scuso. Sono stupita dalla quantità di lettere e comunicati dal covo. Stupita, come l’autore, di come non si riuscì a scoprire la prigione, pur sfiorandola. Stupita di tutti gli ‘azzoppamenti’ e gli omicidi che ci furono in quei giorni nonostante il Paese fosse blindato, in allerta, con un dispiegamento enorme di forze di polizia, tra perquisizioni e posti di blocco. Manifestazioni ‘di parata’, li definisce Sciascia, mentre leggendo attentamente tra le righe e le discrepanze delle lettere di Moro, dice, con un buon lavoro di investigazione classica, afferma, si poteva forse giungere a quel blitz che lo avrebbe liberato. In questo egli confidava prendendo tempo nel subire un processo illegittimo (del popolo, ma quale?), perché in fondo ‘era il meno implicato di tutti’ e non aveva segreti di stato da rivelare. Si scelse di non cedere al ricatto, di non liberare 13 persone per salvarne una. Andreotti, Zaccagnini, Cossiga e Taviani e tutti scelsero di far eseguire la sentenza di morte. Solo Craxi andava ripetendo che potevano esserci margini di trattativa, forse anche lui pre-vedeva politicamente il futuro. Moro fu ucciso alla fine di quel ‘processo’, ma era già morto al momento del suo rapimento: meglio sarebbe stato restare sul campo come i suoi ragazzi della scorta, forse il ‘compromesso storico’ si sarebbe compiuto, forse avremmo avuto un’Italia diversa. Ah, il senno di poi! Così come andò restano tante domande, almeno provo a farmene. Alla fine del libro viene riportata la ‘Relazione di minoranza presentata dal deputato Leonardo Sciascia’, datata 22 giugno 1982, presentata nella Commissione che fu istituita all’epoca, ma a Racalmuto, il 24 agosto 1978 Sciascia scrisse sull’Affaire con arguzia e consapevolezza, forse pensò di aver compreso tutto. Riporto un passo che si trova a pagina 105 e che mi darà da pensare ancora:
“E’ il 25 aprile: giorno in cui si celebra la liberazione dal nazifascismo. La marea della retorica sale. La Resistenza al nazifascismo, valore indistruttibile quanto il rispetto della democrazia Cristiana ad Aldo Moro, viene invocata e trasposta come resistenza alle trattative per salvare la vita di Moro. Il guaio è che quella Resistenza è un valore indistruttibile anche per le Brigate rosse: credono di esserne i figli, di continuarla o di ripeterla. Nessuno ha spiegato loro che non si trattava di una rivoluzione lasciata a mezzo e con la riserva di riaccenderla a più conveniente momento, ma di un ritorno invece: di un ritorno all’Italia prefascista - e col paradosso della continuità giuridica con l’Italia fascista - in cui, in qualche modo, a tentoni, ad improvvisazione, si sarebbe tenuto conto delle idee, dei fatti, delle cose nuove e migliori che intanto correvano nel mondo.”