Recensione: Vortex
di David Katz
- CANNES 2021: Che bella sorpresa: un film minimalista, tranquillo, con tre personaggi, sulla morte e il lutto, di Gaspar Noé. Chi l'avrebbe detto
Un applauso per Gaspar Noé. Man mano che la storia del cinema avanza, anno dopo anno, anche i migliori registi sembrano essere assaliti da un particolare tipo di ansia legata alle loro influenze. Noé ha le sue influenze (e a volte le scrive nei suoi film a caratteri cubitali che appaiono al centro dello schermo), ma ogni volta che si esprime in un film, vi si sente uno slancio concertato a reinventare ciò che il cinema può fare sul piano formale, e il modo in cui l'elasticità del mezzo può esaltare le nostre diverse percezioni. È passato dal sesso al crimine alla danza e qui, in Vortex [+leggi anche:
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scheda film], si parla di morte, più precisamente delle morti tristi e solitarie che sono riservate agli anziani nel "mondo sviluppato"; e qui, come in Amour [+leggi anche:
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intervista: Michael Haneke
scheda film] di Michael Haneke, esamina come l'amore può intrecciarsi e lottare con il grande punto finale della vita. Il film è stato presentato a Cannes nella sezione Première, durante una proiezione iniziata allo scoccare della mezzanotte, una scelta controintuitiva, ma alla fine abbastanza adatta al film.
Laddove Haneke si avvaleva di due attori francesi di alto livello (Emmanuelle Riva e Jean-Louis Trintignant) per mettere in scena la sua rappresentazione della passione, le scelte di casting di Noé conferiscono al suo film più naturalità e quotidianità. La coppia sofferente, i cui nomi reali non sono specificati, sono Dario Argento, il maestro dell’horror poco conosciuto per le sue interpretazioni davanti alla macchina da presa; e Françoise Lebrun, famosa per aver iniziato come attrice non professionista in La maman et la putain del suo compagno Jean Eustache. Noé ha anche fatto la scelta intelligente e originale di non alludere affatto ai percorsi dei suoi attori nel mondo del cinema – a parte il fatto che Argento era davvero un critico cinematografico prima di avere successo come regista.
Il cinema è un formidabile strumento di dissociazione: con un gusto e una maturità sorprendenti, Noé ricorre alla semplice strategia formale dello split screen per restituire questa lotta che è la fine della vita. In formato 2,35:1, ciascuno dei due attori occupa la propria prospettiva della telecamera, e sono separati da uno spazio nero al centro dello schermo, che dà l’impressione di trovarsi di fronte a schermi di videosorveglianza celesti. All'inizio il personaggio di Argento è più autosufficiente, e riesce persino a portare avanti un lavoro importante: la scrittura di un'opera ambiziosa sul rapporto del cinema con l'inconscio. Il personaggio di Lebrun, ex psichiatra e psicanalista, è colpito dalla tragica ironia del fatto che la sua mente stia sprofondando completamente nella demenza. Era un compito affascinante ma rischioso fingere i sintomi di una malattia neurodegenerativa, ma l’attrice lo fa così bene che assistervi ti perseguita tanto quanto qualsiasi altra cosa tu abbia visto nella filmografia di Noé finora.
La coppia ha un figlio, Stéphane (Alex Lutz, conosciuto soprattutto per i suoi ruoli comici), che chiede loro (come fanno oggigiorno molti figli di genitori anziani) che vadano a vivere in una casa di cura, e si vede che ha a cuore i loro interessi (questa no, non è una manovra per sottrarsi alle sue responsabilità, né per relegarli fuori dal mondo). Non sarebbe giusto svelare di più, ma possiamo osservare che Noé si basa qui su una particolare dinamica dialettica: cosa sopravviverà di questo legame già sbiadito, la mente o il cuore, la catastrofe o il pragmatismo? (Come suggerisce lui stesso tramite un titolo che compare sullo schermo verso l'inizio del film).
Qui la violenza è tutta interiore, l'angoscia tutta interiore, ma la grazia è permanente. Si potrebbero fare paragoni letterari, principalmente con l'ossessione di Beckett per i dispositivi di registrazione e le ripetizioni, ma le ultime parole di Amleto dall'opera di Shakespeare risuonano di più: "Il resto è silenzio". Anche le prime parole di Argento e Lebrun nel film, sulla terrazza del loro tugurio bohémien parigino, sono come le parole eloquenti di un grande drammaturgo, o addirittura qualcosa che sembra uscito dalla terza serie di Twin Peaks di David Lynch: "La vita è un sogno, no?" - "Sì, un sogno nel sogno".
Vortex è una coproduzione tra Francia, Belgio e Monaco, guidata da Rectangle Productions, Wild Bunch Production, Les Cinémas de la Zone, KNM, Artémis Productions, SRAB Films, Les Films Velvet e Kallouche Cinéma. Wild Bunch International si occupa delle vendite estere.
(Tradotto dall'inglese)
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