Santiago Mitre • Regista
“La politica divora tutto”
- CANNES 2017: L’argentino Santiago Mitre parla di La cordillera, produzione con l’Europa che partecipa a Un Certain Regard e scandaglia i chiaroscuri della politica
Spagna, Francia e Argentina producono La cordillera [+leggi anche:
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intervista: Santiago Mitre
scheda film], terzo lungometraggio in solitario di Santiago Mitre, cineasta di Buenos Aires che sorprese tutti con la sua opera prima, El estudiante, per poi scuotere le coscienze con Paulina [+leggi anche:
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scheda film]. Abbiamo parlato con il regista in occasione della presentazione del film nella sezione Un Certain Regard del 70° Festival di Cannes.
Cineuropa: Perché questo titolo? Oltretutto, cambia a seconda del paese in cui viene lanciato il film: da El presidente a The Summit.
Santiago Mitre: Abbiamo cominciato pensando a un vertice di presidenti in Cile, dove quello argentino deve affrontare un problema familiare, nel bel mezzo di discussioni su un grande progetto di integrazione regionale. L’intimità, i segreti familiari che si frappongono alla costruzione politica. Quando pensavamo al Cile, l’immagine della cordigliera delle Ande era immediata e imponente: quelle montagne attraversano tutto il continente, come unione e come limite. Il vertice della cordigliera suonava come un’idea che avrebbe potuto avere un qualsiasi governante. Poi succede come in quasi tutti i titoli: ne scegli uno e ti ci abitui, fino a trovarlo bello. Il cambio di titolo in altri paesi è una decisione dei distributori.
Come è nata questa coproduzione con l’Europa?
Ho lavorato sin dall’inizio con la francese Maneki Films e l’argentina La unión de Ríos. Poi abbiamo avuto il privilegio di vedere aggiungersi, e prendere il comando, K&S Films, e attraverso essa, al Cannes precedente, siamo entrati in contatto con la spagnola Mod. La coproduzione c’è stata sin dall’inizio ed è nata in modo naturale. E’ un grande onore avere queste produzioni alle spalle.
La cordillera ha un cast internazionale superbo: un sogno diventato realtà?
Ho scritto il film pensando a Ricardo Darín e gli ho raccontato l’idea prima che a ogni altro: non so se sarei andato avanti se Ricardo non si fosse mostrato tanto interessato. E’ stato un piacere e una gioia condividere il set con lui. E’ un attore perfetto dal punto di vista tecnico e un grande compagno. Con Dolores Fonzi ho lavorato in Paulina (è stata lei ad avere il primo contatto con Ricardo, mentre giravano Truman [+leggi anche:
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intervista: Cesc Gay
scheda film]): è un’attrice sconvolgente, di una forza unica. Érica Rivas possiede una capacità tecnica enorme e una grande sensibilità. Scrivo sempre pensando agli attori: i personaggi si finiscono di costruire con loro. Poi il cast lo abbiamo completato con Mariana Mitre e Javier Braier, i direttori casting, e abbiamo finito col formare un gruppo di grande impatto per il cinema latinoamericano: sono un grande ammiratore di Paulina García e Alfredo Castro, Daniel Giménez Cacho è un genio e Elena Anaya, magnifica. Sono orgoglioso dell’interesse con cui sono tutti entrati nel film… e il risultato che hanno ottenuto.
C’è astio verso i politici. Hanno smesso di essere umani?
La politica divora tutto. Entra in tutto. E’ il centro di tutto. Tempo fa ho avuto l’opportunità di parlare con un ex presidente, e mi ha sorpreso quando mi ha detto che non si è mai soli come quando si ha il potere. E’ un’idea interessante. Il potere ti isola, ti chiude, ti circonda, e non è mai abbastanza: cosa si sacrifica nel frattempo? Che cosa porta? Come si paga? Quando pensavo alle idee per questo film mi è venuta in mente la metafora faustiana come possibilità. E dico metafora perché in questo film non c’è alcun Mefisto, né Faust. Per questo il film gioca con queste due trame: una politica e l’altra fantastica. Che si completano e si sovrappongono.
(Tradotto dallo spagnolo)
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