On Becoming a Novelist

Uno dei suoi principi fondamentali era che uno scrittore scopriva ciò che voleva dire man mano che capiva ciò che aveva detto. […] Credeva nella revisione, nella revisione continua; era una cosa che gli stava molto a cuore e che secondo lui era fondamentale per gli scrittori, in qualsiasi fase della loro evoluzione. E sembrava non perdere mai la pazienza rileggendo il racconto di uno studente, anche nel caso che lo avesse già visto in cinque precedenti versioni.

Parlava di James Joyce e Flaubert e Isak Dinesen come se vivessero dietro l’angolo, a Yuba City. Diceva: «Sono qui sia per dirvi quali scrittori dovete leggere che per insegnarvi a scrivere». Di solito uscivo di classe stordito e me ne andavo diritto in biblioteca a cercare i libri degli scrittori di cui parlava.

Ritengo che chiunque stia dando un’occhiata a questa prefazione per vedere se valga o meno la pena di comprare questo libro, o prenderlo in prestito dalla biblioteca o rubarlo (non fatelo), lo stia facendo per un paio di motivi. O si tratta di un romanziere esordiente che vuole sapere se il libro può essergli utile, oppure di un insegnante di scrittura che spera di rendersi conto, senza eccessivo dispendio di energia, che razza di truffa si stia tramando questa volta da parte di improvvisati imbroglioni ai danni del loro bersaglio preferito.

Non scrivo per chi desidera essere pubblicato a ogni costo, ma per coloro i quali desiderano la pubblicazione di un’opera di cui essere fieri — una narrativa seria, onesta, quel genere di romanzo che i lettori troveranno piacevole leggere e rileggere, il genere di narrativa che probabilmente rimarrà. […] Questo è un libro per il romanziere esordiente che si è già reso conto del fatto che le soddisfazioni che dà lo scrivere bene sono molte di più di quelle che dà lo scrivere bene-quanto-basta per essere pubblicato.

L’esempio più ovvio è lo scrittore che non riesce a muovere un passo senza servirsi di frasi tipo «con un lampo di felicità negli occhi», o «la deliziosa coppia di gemelli», o «l’eco della sua sonora risata»: espressioni prive di vita, emozioni meccaniche, da zombie, di uno scrittore che nella vita quotidiana non prova alcuna sensazione o comunque non crede a ciò che sente in misura sufficiente da cercare di definirlo con parole proprie, […] Il problema è che non si tratta solo di clichés (logori, abusati), ma che questo linguaggio è sintomatico di uno sfondo psicologico che conduce all’atrofia.

Secondo la mia esperienza, non c’è niente di più difficile, per lo scrittore in fase di maturazione, del fatto di vincere la preoccupazione di stare prendendo in giro se stesso, ingannando o mettendo in imbarazzo la sua famiglia e i suoi amici.

Fallimento e speranze infrante sono comuni a tutti noi. Il sospetto che stiamo imbarcando acqua e che nella nostra vita le cose non vadano nel modo che avevamo programmato colpisce prima o poi la maggior parte di noi. Verso i diciannove anni hai un’idea abbastanza precisa di alcune delle cose che non diventerai; ma più spesso questa coscienza dei propri limiti, la comprensione realmente profonda, ha luogo nella tarda giovinezza o all’inizio della mezza età. Non c’è insegnante o istruzione, per quanto vasta, che possa trasformare in scrittore qualcuno che sia costituzionalmente incapace di diventare prima d’ogni altra cosa uno scrittore.

Dato che la sua è un’arte tanto difficile, è improbabile che faccia carriera nel mondo con la stessa evidenza dei suoi vicini di casa: mentre i suoi migliori amici del liceo o del college diventano i soci più giovani di prestigiosi studi legali, o fondano imprese funebri di loro proprietà, lo scrittore potrebbe stare ancora sudando sul suo primo romanzo. Anche se ha pubblicato uno o due racconti su periodici di tutto rispetto, egli dubita di se stesso. Nei miei anni d’insegnamento, ho visto spesso dei giovani scrittori di indubbio talento rimproverare se stessi quasi al punto di bloccarsi perché sentivano che non stavano adempiendo ai propri obblighi familiari e sociali, sentivano — anche quando diversi racconti erano stati accettati — che stavano deludendo se stessi. Ogni lettera di rifiuto è annientante, e la gentile esortazione di un genitore — «Non pensi che sarebbe ora che tu avessi dei bambini, Marta?» — può essere causa di una crisi spirituale. Solo un carattere forte, rinsaldato da poche persone che credono in lui, riesce a far superare allo scrittore questo periodo. Egli deve in qualche modo convincersi di avere un atteggiamento serio nei confronti della vita, tanto serio da voler correre grandi rischi. Deve trovare dei modi — uno humour sardonico, o qualsiasi altra cosa — per deviare i colpi crudeli o benevoli che vengono inferti al suo amor proprio.

Ogni lettera di rifiuto è annientante, e la gentile esortazione di un genitore — «Non pensi che sarebbe ora che tu avessi dei bambini, Marta?» — può essere causa di una crisi spirituale. Solo un carattere forte, rinsaldato da poche persone che credono in lui, riesce a far superare allo scrittore questo periodo. Egli deve in qualche modo convincersi di avere un atteggiamento serio nei confronti della vita, tanto serio da voler correre grandi rischi. Deve trovare dei modi — uno humour sardonico, o qualsiasi altra cosa — per deviare i colpi crudeli o benevoli che vengono inferti al suo amor proprio.

Il fatto di essere messi sotto torchio è utile solo se costringe lo scrittore, invece che al suicidio, a scrivere splendidi capolavori, permettendogli di essere indifferente al fatto che il romanzo venda o non venda, sia o non sia apprezzato.

Il miglior modo che esista al mondo per superare il blocco dello scrittore consiste nello scrivere molto. Chiacchierando a ruota libera sul foglio, si viene indotti a provare interesse, tutto d’un tratto, per le cose che si stanno dicendo, ed ecco: il magico fluido torna a scorrere.

I buoni scrittori sono, in fin dei conti, delle persone intelligenti. Avrebbero potuto essere dirigenti, politici o scienziati. Può darsi che non amino o non vogliano tali lavori, ma sarebbero in grado di farli, e per certi versi uno qualunque di questi lavori potrebbe essere più facile. Ciò che impedisce al giovane scrittore che possiede la potenzialità per raggiungere il successo di ripiegare su un qualche percorso che goda di un’approvazione più generale, forse più agevole, è la comunità letteraria. […] È senza dubbio vero che, il più delle volte, è la comunità letteraria a salvare lo scrittore dalla sua follia. Questa comunità si compone in parte di sciocchi: giovani innocenti che non hanno ancora acquisito l’esperienza necessaria per apprezzare qualsiasi altra cosa che non sia la scrittura, e fanatici che, avendo preso in considerazione altre cose, pensano che scrivere sia l’unica cosa veramente preziosa che la mente umana può fare.

La domanda che uno rivolge al giovane scrittore che vuole sapere se possiede o meno le qualità che gli sono necessarie è questa: «È scrivere romanzi quello che vuoi fare? Quello che vuoi realmente fare?».
Se il giovane scrittore risponde di sì, allora tutto ciò che si può dire è: fallo. Di fatto, è quello che comunque farà.

Per essere psicologicamente qualificati ad appartenere a quella che ho definito come categoria superiore di romanzieri, lo scrittore non deve solo essere capace di comprendere le persone diverse da lui, ma deve subirne il fascino. Deve avere sufficiente stima di sé da non sentirsi minacciato dalla diversità, sufficiente calore umano e comprensione, sufficiente interesse per l’imparzialità di cui ha bisogno per apprezzare persone diverse da lui, e infine deve avere, secondo la mia opinione, una sufficiente fiducia nella positività della vita, tale da poter non solo tollerare ma anche celebrare un mondo di diversità, conflitti, contrasti.

Di solito, l’unico talento che non possa essere coltivato è quello che non esiste affatto.

Per scrivere un grande romanzo bisogna essere solo un po’ svitati. Bisogna essere capaci di consentire ai lati più oscuri, più remoti e acuti del proprio essere di prendere in mano le redini del lavoro, di tanto in tanto. Oppure, di quando in quando, bisogna essere capaci di lasciar filtrare attraverso la porta l’intensa follia della vita stessa. […] La stranezza è la sola dote nella narrativa che non si può simulare.

Uno dei migliori manuali di scrittura che abbia mai letto. È un romanzo che ti lascia qualcosa, anche a distanza di tempo, fornisce strumenti per riprendere/continuare a scrivere che vanno oltre la semplice tecnica, è qualcosa che si radica ancora più a fondo. Gardner con la sua onestà disarmante mi ha conquistata, e prima o poi imparerò l’inglese abbastanza da leggere e apprezzare qualche sua pubblicazione. Nel frattempo, cercherò di leggere quanti più autori da lui nominati, e poi rileggerò di questo manuale.

Il peggio che possa capitare allo scrittore che prova e fallisce — a meno che non abbia delle opinioni gonfiate o mistiche di ciò che rappresenta il fatto di essere un romanziere — è di scoprire che per lui scrivere non è il luogo deputato della gioia e della soddisfazione. È più facile per una persona non riuscire a diventare un uomo d’affari di successo che non un artista.

Passare tutta la vita a scrivere romanzi è un’occupazione difficile da giustificare in ogni caso, ma passarla a scrivere romanzi che nessuno ha voglia di leggere è ancora più difficile.

Gli scrittori da quattro soldi hanno talvolta abbastanza successo, sono perfino ammirati. Ma, dal mio punto di vista, sono di scarsa utilità per il genere umano.

Il romanziere esordiente che ha il dono di abitare altre vite ha forse le maggiori probabilità di successo.

Ogni bambino sa per intuito (nella misura in cui gli piacciono le storie: a certi bambini non piacciono) quali sono i requisiti della buona narrativa ma, quando arriva all’adolescenza, le sue idee sono diventate un po’ confuse a furia di esser costretto dai suoi insegnanti a leggere cose che in realtà sono porcherie, a furia di essere preso in giro se legge un buon libro di fumetti, e di essere messo in guardia, se prende in mano Delitto e castigo: «Harold, non è ancora il momento».
Giunto al secondo o al terzo anno di college, è probabile che il suo stato di confusione abbia raggiunto livelli abbastanza profondi, immaginando, per esempio, che nella narrativa la cosa più importante sia «il soggetto».
Niente, lasciatemelo sostenere, può essere più lontano dalla verità dell’opinione secondo cui il soggetto è tutto. […] Il soggetto è come i pavimenti e i sostegni della struttura di una bella casa antica: è indispensabile ma di norma non è ciò che mozza il fiato al lettore.

Tutti gli scrittori si arricchiscono per mezzo di elogi e pubblicazioni: il romanziere è lo scrittore che fa l’investimento più grosso, più a lungo termine, un investimento che può rendere come non rendere. […] Può lavorare per settimane, per mesi perfino, senza perdere la concentrazione e confondersi, ma prima o poi — almeno per quanto mi insegna la mia esperienza — lo scrittore arriva a rendersi conto di essere perduto.

Quindi il primo pregio di un seminario per scrittori è quello di far sentire al giovane scrittore che non solo non è una persona anormale, ma che è una persona onesta. […] Perciò, se non altro per motivi psicologici, anche un cattivo seminario può essere meglio di niente.

Per quanto dura sia la fibra del contadino che c’è dentro di lui, ogni scrittore ha bisogno di persone che credano in lui, gli offrano una spalla su cui piangere, e apprezzino le stesse cose che apprezza lui. Se non ha tutte queste cose, potrebbe provare a cambiare amici.

In qualsiasi modo si affronti il problema, ciò che lo scrittore deve fare, posto che non sia ricco in partenza, è trovare qualche tipo di lavoro che gli sia congeniale e che non divori tutto il suo tempo e le sue energie.

Da dove trae fiducia lo scrittore? In parte, come abbiamo visto, dal sostegno della comunità. Il costante incoraggiamento degli amici rende più facile scivolare nel sogno e sopportare il duro lavoro dell’imparare sia a controllare che ad ascoltare la lingua. E in parte viene dall’amore disinteressato dello scrittore per la propria arte — un piacere della scrittura (indipendentemente dal fatto che si tratti di cose scritte da lui o da altri) che per un attimo gli fa dimenticare i suoi limiti. Ecco perché è spesso utile, quando non si riesce a scrivere, leggere le opere di qualcuno degli scrittori che uno preferisce. Il mondo di sogno e la danza della lingua dello scrittore più autorevole finiscono per irrompergli nella mente, e la sua personale capacità di sognare e giocare con le parole finisce per sbloccarsi. Si comincia a scrivere, e se il sogno è sufficientemente intenso, e le parole offrono una sufficiente collaborazione, gli errori della prima stesura hanno la stessa facoltà di distrarlo che ha una mosca in un angolo della stanza, presente ma non insopportabile, a patto che lo scrittore sia profondamente coinvolto in quello che sta facendo e sia convinto che il risultato giustificherà probabilmente la fatica.

Infine, il vero romanziere è quello che non lascia perdere. Scrivere romanzi non è tanto una professione quanto uno yoga, una «via», un’alternativa alla normale vita-nel-mondo. […] Per coloro che sono veramente votati alla professione, i guadagni spirituali sono sufficienti.